L’implosione dei partiti personali chiude il ventennio dei mostri

L’implosione familistica della Lega Nord con tutta la sua degenerazione nell’uso del denaro pubblico, rappresenta la fine di un ventennio folle di un paese che aveva smarrito la capacità di analisi del mostruoso sistema politico sorto nel 1992-1994. La immediata messa in soffitta delle grandi culture politiche che governano l’Europa, il sorgere di partiti personali salutati come elemento di modernità contro il “ciarpame” ideologico, la conseguente gestione proprietaria dei fondi pubblici e delle liste elettorali già prima dell’arrivo del “ porcellum” e il sistema maggioritario hanno rappresentato un tutt’uno che ha messo in ginocchio il Paese e dal quale pochi hanno il diritto di prendere le distanze. Non le può prendere Roberto Maroni, da sempre il numero due della Lega Nord e per moltissimi anni ministro dell’interno, perché in politica c’è una responsabilità oggettiva dalla quale non è possibile sottrarsi quando si è stati in ruoli di grande importanza. Non le può prendere Francesco Rutelli dal caso Lusi ma non le può prendere Berlusconi che ha il copyright del partito personale e del cerchio magico. Ma non può prendere le distanze quasi nessuno perché tutti, o quasi tutti, hanno partecipato, anche se in maniera profondamente diversa, al coro inneggiante alla modernità del leaderismo, ad un pragmatismo programmatico senza più alcuna bussola culturale e a partiti sempre più privi di democrazia e di collegialità. La personalizzazione della politica inevitabilmente portava alla privatizzazione delle risorse finanziarie e alla selezione cortigiana dei parlamentari della Repubblica. Non è solo la politica di questi 20 anni, però, a non poter prendere le distanze da ciò che rappresenta l’implosione leghista e della Margherita ma anche larga parte degli intellettuali e degli opinionisti di destra, di centro e di sinistra. Nessuno, o quasi nessuno, si è indignato contro le “smargiassate” leghiste ricche di volgarità e quasi tutti hanno ritenuto una piattaforma culturale e politica valida il ridicolo federalismo contenuto nella famosa bozza Violante. E meno che meno qualcuno si è indignato quando nelle liste elettorali sono stati catapultati, sempre con le dovute differenze, amici e amichette, familiari e collaboratori svuotando così in vent’anni il Parlamento di ogni spirito vitale e i cui protagonisti sono da tempo derisi e dileggiati da un antiparlamentarismo che ricorda da vicino quello dell’epoca prefascista. Sarebbe proprio il caso di dire che chi è senza peccato scagli la prima pietra tale e tanto è stato l’ottundimento  della classe dirigente del paese nel capire in quale vuoto cosmico la società italiana stava lentamente precipitando. E nel frattempo i problemi del paese marcivano con l’assenza di una crescita economica, con l’aumento del debito pubblico di 20 punti di Pil  in 20 anni e con lo sfarinamento istituzionale tra governo, regioni, province e comuni nel mentre il capitalismo finanziario nazionale, ma più ancora internazionale, acquistava, a prezzi di liquidazione, pezzi importanti della nostra economia con la vendita di tantissime aziende pubbliche. Di tutto ciò non saranno responsabili i Lusi o i Belsito né i Bossi e i Rutelli. E’ l’intera classe dirigente italiana che per paura, per interesse economico e per bramosia di potere, ha ritenuto di benedire come modernità il degrado che sommergeva il paese. Ed è la stessa classe dirigente che deve, oggi, nella sua interezza, fare outing culturale evitando di cadere nell’altra faccia della decadenza, quella di applaudire acriticamente il governo dei tecnici ritenendolo anch’esso un altro elemento di modernità senza accorgersi di scivolare così in un finale tragico della nostra democrazia in cui la politica fugge dal suo dovere principale che è quello di governare il paese. Democrazia  interna e ripresa delle proprie identità culturali accompagnate da serietà e compostezza sono le strade attraverso le quali i partiti, in un sussulto di dignità, potrebbero ancora salvare l’Italia prima che gli italiani scendano davvero nelle strade.

Pubblicato su “Il Foglio” il 12-04-2012

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