Le due linee del Cav. e il bisogno di mettere la museruola all’ira funesta

Pubblicato su “Il Foglio” il 30.10.2012

Silvio Berlusconi ha dinanzi a sé due strade molto diverse tra loro. La prima, suggerita dalla “pancia” e dalla comprensibile rabbia per una condanna che lui ritiene ingiusta, è quella di ripiegare su di una linea politica di estrema destra. Una linea di guerra contro tutti a cominciare, naturalmente, dalla magistratura, da Monti e da Napolitano tentando di mescolare insieme la rabbia popolare per le misure recessive del governo  e il diffuso sentimento contro i magistrati e la loro “irresponsabilità civile” molto simile a quella che tutela il presidente della Repubblica. Una linea politica che certamente non aiuterebbe il Paese ad uscire dal tunnel di una crisi di sistema iniziata venti anni fa e che non terrebbe conto di tutti gli anni di governo dello stesso Berlusconi nei quali egli avrebbe potuto fare tutto ciò che oggi rivendica e che non ha fatto. Su questa strada, se sciaguratamente dovesse intraprenderla, troverà la sola alleanza della Lega e di Storace e  probabilmente perderà per strada pezzi del suo partito,  dai democristiani ai liberali per finire ai socialisti, sia dirigenti che elettori. C’è, invece, l’altra strada più saggia nel medio periodo ma più difficile nel presente perché dovrebbe mettere oggi la museruola all’ira funesta che lo attanaglia in questi giorni. E’ la strada che non fa sconti al giudizio su quello che dice a proposito di certi ambienti giudiziari ancorchè minoritari, ma incanala la rabbia nel solco di una democrazia parlamentare matura che mette al primo posto l’interesse del Paese senza tralasciare tutto ciò che ritiene utile al ripristino di uno Stato che, a suo giudizio, ha perso il profilo di uno Stato di diritto. E’ una strada irta di ostacoli che si scontrerà con le piccole convenienze di tanti e con le tante ipocrisie di molti. Ma è anche la strada che uno statista è costretto a percorrere se non  vuole definitivamente passare alla Storia come il signore di Palazzo Grazioli e della decadente corte di Arcore. Noi siamo tra quelli che avvertono le crepe della democrazia italiana che da venti anni stenta ad abbandonare la strada di uno scontro violento nella politica, nella economia e nella finanza così come nelle istituzioni repubblicane. A queste crepe, però, Silvio Berlusconi e alcuni suoi inadeguati consiglieri hanno portato un forte contributo introducendo nelle vene del Paese il veleno del liderismo padronale con tutto quel che ne è conseguito sulla selezione della classe dirigente e sul degrado delle istituzioni repubblicane, al centro come in periferia. Quel veleno ha contagiato larga parte del sistema politico italiano che non è stato più in grado di esercitare quel suo primato democratico ricomponendo in un progetto paese i tanti interessi presenti in una società moderna limandone le asperità di ciascuno e impedendo a ciascuno l’ubriacatura della propria autoreferenzialità. E così gli interessi sono diventati veri e propri poteri spesso in rotta di collisione tra loro ma molte altre volte  perversamente  intrecciati per blindare, nel silenzio, pratiche inconfessabili. Finanza, magistratura, informazione, per parlare solo di alcuni settori, hanno da tempo alcune zone franche e grigie dove parti di esse, grazie a Dio minoritarie, sono tra loro colluse per disegni o di potere o di denaro o spesso di entrambi. Tutto questo il popolo lo avverte  sulla sua pelle e non a caso la sua protesta monta seguendo il simpatico burlone genovese che quando comizia fa anche sorridere. C’è, insomma, una democrazia ferita nella quale molti giocano un ruolo improprio e spesso rovinoso. Se Berlusconi sceglie la strada della “pancia” e della guerra contro tutti, trasformerà in salvatori della democrazia anche quelli che l’hanno ferita in questi anni per dolo o per ignoranza politica. Se sceglierà l’altra strada, quella della politica alta facendo finalmente outing di tanti suoi sciocchi comportamenti concorrerà a salvare questo Paese e, forse, anche se stesso. Compito quest’ultimo che è anche sulle spalle di Alfano e dei suoi più stretti collaboratori che dovranno diventare finalmente uomini politici dismettendo l’abito di seguaci fedeli.

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