Le grandi democrazie presuppongono l’esistenza di uno stato di diritto

Pubblicato su ” Il Tempo” il 28-11-2012

Le grandi democrazie presuppongono l’esistenza di uno Stato di diritto. Senza disturbare Alexis de Tocqueville, la separazione dei poteri impone che tutti i poteri siano soggetti alla legge il cui primato non è messo in discussione da nessuno. Da questo primato della Legge deriva l’altro primato, quello della politica che si esercita nel Parlamento della Repubblica. Richiamate le cose già note a tutti, veniamo alla grande questione nazionale che si è aperta con la chiusura dell’Ilva di Taranto che trascina con sé anche lo stabilimento di Genova e quello di Marghera con un danno all’industria nel suo complesso e in particolare della siderurgia con ricadute occupazionali devastanti. Se la magistratura inquirente di Taranto ha ritenuto di emanare quei provvedimenti di chiusura è da presumere che la sua azione sia imposta dalla legge. La magistratura non ha l’obbligo di farsi carico degli aspetti industriali e occupazionali della vicenda che, al contrario, ricadono tutti sulle spalle del governo e del Parlamento il cui primato nella guida del paese è altrettanto indiscutibile. Detto questo dobbiamo dire che l’azione del governo sinora è stata di una debolezza estrema pensando di ottenere la revoca dei precedenti provvedimenti sull’area a caldo dell’Ilva di Taranto per via amministrativa e cioè con una nuova “autorizzazione integrata” più aderente, a giudizio del ministero dell’ambiente, alle direttive europee. Era fin troppo chiaro sin dall’inizio che nessuna via amministrativa avrebbe spinto l’Autorità giudiziaria a tornare sui propri passi e così dopo il sequestro dell’area a caldo è arrivato quello dell’area a freddo e cioè la chiusura definitiva. Giunti a questo punto e visti i disastri industriali, occupazionali e ambientali che si stanno realizzando il governo deve darsi, come si suol dire, una mossa e assumere le decisioni necessarie per lasciare aperto lo stabilimento dell’Ilva. Adottare le decisioni necessarie significa emanare un decreto legge che non subordina il valore costituzionale del diritto alla salute al diritto del lavoro ma, al contrario, definisca un percorso dove entrambi i valori costituzionali siano garantiti scadenzando temporalmente tutti i provvedimenti di risanamento ambientale e industriale necessari ma lasciando in funzione la produzione industriale. Se la chiusura dello stabilimento eliminasse da subito il rischio- salute, la riapertura potrebbe cozzare contro quel diritto costituzionale del diritto al lavoro. Ma così non è. Anzi, il rischio ambientale, e quindi il rischio- salute, potrebbe impennarsi nella fase successiva alla chiusura. Più saggio sarebbe definire con un decreto legge quando le vicende industriali diventano questioni di interesse nazionale che, una volta riconosciute con una decisione del consiglio dei ministri, attiverebbero un’immediata sospensione delle norme che impongono chiusure immediate. Nello stesso decreto, però, si deve decidere ciò che in questi casi si deve fare con  poteri speciali, di quelli, cioè, che si usano nelle catastrofi naturali, in che tempi farli e chi deve farli. In tal modo i due diritti costituzionali, quelli della salute e del lavoro, verrebbero tutelati in parallelo evitando, nel contempo, un danno irreversibile al patrimonio industriale del paese. Un decreto legge che si muovesse in questa direzione e che, a nostro giudizio, già si sarebbe dovuto fare, riassume in sé le ragioni della magistratura inquirente con la sua indipendenza e le coniuga con le ragioni dei lavoratori e dell’industria. Fuori da questa direzione di marcia si rischierebbe l’occupazione da parte di migliaia di lavoratori del Tribunale di Taranto che nello spazio di qualche giorno si trasformerebbe nell’immaginario collettivo nel nuovo “palazzo d’inverno” pieno di piccoli moderni “zar” da sbaragliare con la violenza. Un disastro democratico ed una implosione dell’intero ordinamento dello Stato. Il tempo è scaduto e se il governo c’è, oggi e non domani, deve battere un colpo. Ma quello giusto, assumendosi, insieme al Parlamento, quelle responsabilità che non sono trasferibili a nessun altro.

 

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