A sinistra solo PM non magistrati

Pubblicato su ” il tempo” il 29 dicembre 2012

La domanda è, ad un tempo, semplice e brutale. Dinanzi alle candidature del p.m. Antonio Ingroia nella lista di Orlando e de Magistris e di quella di Pietro Grasso nelle file del partito democratico è legittimo chiedersi se, per caso, non sia questo il motivo per cui, a distanza di 20 anni, non si è ancora capito chi avviò e concluse la trattativa Stato-mafia ove mai sia esistita? Noi riteniamo, senza che nessuno si offenda, non solo legittima questa domanda ma addirittura doverosa per quanti, come noi, ritengono che la trattativa ci sia stata e che la responsabilità del governo Ciampi e del suo azionista di maggioranza, il vecchio Pci di Occhetto e Violante, è indiscussa.
Di questo abbiamo scritto e riscritto su molti giornali e in molti libri e in questa sede è sufficiente ricordare solo che le bombe di Roma, Firenze e Milano finirono improvvisamente nell’ottobre del 1993 e nel novembre successivo il ministro Conso revocò a 300 mafiosi il carcere duro del 41 bis. Ma c’è di più. Dopo quella data cominciarono le scarcerazioni di centinaia e centinaia di mafiosi condannati con sentenze passate in giudicato a decine di anni di galera attraverso i programmi di protezione. Questi programmi potevano essere attivati solo da un pubblico ministero e poi approvati da una commissione presso il ministero dell’Interno. Ad oggi tutti gli assassini di Giovanni Falcone sono in libertà da anni tranne Giovanni Brusca che lo sarà tra breve mentre quelli di Paolo Borsellino sono ancora ignoti. Se questi sono succintamente i fatti, tutte le domande sono legittime dinanzi alle ombre che si allungano sul governo dell’epoca e sui politici di quel tempo in cui la DC già non esisteva più e molti dei suoi protagonisti erano già alla sbarra per accuse le più diverse e le più infamanti. Se a tutto ciò si aggiungono le candidature passate dell’on. Maritati e di Gerardo d’Ambrosio che coordinava il pool di Milano, quelle domande legittime diventano quasi un’ossessione per qualsiasi democratico vero, moltissimi dei quali sono anche dentro quel PD e che all’epoca contrastarono fortemente la scelta di Occhetto e Violante. Noi parliamo di sospetti perché siamo garantisti ma non sfuggirà allo stesso Bersani, che all’epoca era solo nel consiglio regionale dell’Emilia, che candidando continuamente nelle proprie file non magistrati ma solo pubblici ministeri, getta sulla democrazia italiana ombre devastanti. Se a questo scenario si aggiunge l’altro elemento rappresentato dalla candidatura di Mario Monti imposta da forze esterne al paese, il quadro che ne esce fuori diventa allarmante sul terreno della tenuta democratica della nostra società. Il partito democratico forse è l’ultimo grande partito popolare italiano che ha dietro le spalle delle culture politiche di riferimento di stampo europeo e non può non convenire che candidare da un lato pubblici ministeri che hanno avuto responsabilità fondamentali per la vita del paese e dall’altro cercare ossessivamente il dialogo con una personalità di valore come Monti ma che ha la sua vera maggioranza all’estero rischia di essere un segnale di resa ad un’involuzione democratica dell’Italia che da tempo sta scivolando nel triste e deprimente ruolo di colonia di rango di un’Europa, peraltro, in grande crisi politica ed economica. Ci pensi Bersani e spieghi in maniera convincente queste sue scelte rassicurando non solo a parole ma con fatti la natura democratica e tutta politica del suo partito. Non lo deve certamente a noi ma all’intero paese e principalmente ai suoi elettori.

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