Vecchie Maniere. Il bipolarismo è una malattia dalla quale l’Italia può guarire. Un modello? Il pentapartito

pentapartitoArticolo pubblicato il 13-06-2013 su ” Il Foglio”
Al direttore-L’analisi politica sulla situazione italiana è afflitta da tempo da un pressapochismo che risponde più ai desideri di ciascuno che non alla realtà dei fatti come essi si presentano. Una miopia dei partiti ma anche di parte rilevante dell’informazione più attenta alle proprie convinzioni che non allo scenario che da anni è presente nel paese. Per spiegarci, un esempio del passato e un esempio del presente. Ieri i partiti personali con un leader forte, carismatico e proprietario, erano considerati un esempio di modernità e di “democrazia all’americana”, oggi, finalmente, da più parti si comincia ad individuare nel liderismo sfrenato e proprietario il cancro vero di un sistema politico sciatto e inconcludente. Il tempo, poi, ha fatto il resto lasciando che scomparissero i partiti personali minori (Bertinotti, Mastella, Casini, il Rutelli dell’API, Diliberto) ed entrasse in una fibrillazione crescente anche il maggiore dei partiti personali, il Pdl, che regge ancora solo per la grande abilità comunicativa di Silvio Berlusconi. Lo stesso partito democratico, pur non avendo un liderismo sfrenato, in questi 20 anni è andato affannosamente alla ricerca di uno che lo potesse interpretare bruciando ad uno ad uno i diversi segretari. L’esempio presente è, forse, ancora più drammatico perché ipoteca pesantemente il futuro. L’analisi più diffusa tra i partiti e nell’informazione indica infatti nel governo delle cosiddette larghe intese un momento eccezionale di convergenza tra forze alternative. Un’interpretazione di questo genere è profondamente sbagliata ed è figlia di quella cultura posticcia del bipolarismo che in vent’anni ha fatto strame del sistema politico italiano. E ci spieghiamo facendo il confronto con il 1976 in Italia e con gli anni 2000 in Germania. La cosiddetta solidarietà nazionale del Governo monocolore Andreotti dal 1976 al 1979 contava, infatti, sull’appoggio di Dc e Pci, partiti e culture veramente alternative, dei socialisti e dei repubblicani. All’opposizione restavano a sinistra i radicali e democrazia proletaria mentre a destra i liberali e i missini di Almirante. In parole povere c’era un 20% degli italiani all’opposizione ( il 10% a sinistra e altrettanti a destra) mentre l’80% appoggiava il governo Andreotti. In Germania, negli anni 2000, la “Große Koalition” tra socialisti e democristiani superava il 70%. Il governo Letta al contrario, oggi gode dell’appoggio di poco più del 57% degli italiani ( Pdl 21%, Pd 25% Scelta Civica 10,6%), lasciando all’opposizione oltre il 28% a sinistra ( M5S e Sel) e quasi l’8% a destra. A guardare bene siamo ad un quadro politico simile a quello che avevamo negli anni ’80 quando governava il centro sinistra vero ( Dc-Psi-Psdi-Pri e Pli) con una forte opposizione a sinistra ed una, minore, a destra. Le conclusioni politiche di questi dati. Le forze che oggi compongono la maggioranza del governo Letta racchiudono le forze moderate e della sinistra riformista che ripetono, tal quale ma sotto diverse spoglie, il centro sinistra della Dc e del Psi con due macigni però sulle spalle: la presenza politicamente squilibrante di Silvio Berlusconi e l’assenza, in entrambi gli schieramenti, delle culture politiche che spersonalizzavano il confronto e le alleanza. Morale della favola: quanti dovessero pensare ancora ad una Italia futura governata da un blocco di sinistra o da un blocco di centro-destra, aiutati in questo da quel premio di maggioranza che non esiste in nessuna democrazia parlamentare occidentale ( la Grecia fa eccezione), continuerebbero a far danni in un Paese stremato dalla lotta continua tra due realtà politiche entrambe prive di identità. La scomposizione che ormai è sotto gli occhi di tutti non potrà che riapprodare alla maggioranza attuale del governo Letta a condizione, naturalmente che i nuovi protagonisti riscoprano per tempo il bandolo di quelle culture europee che in Italia hanno governato insieme dal 1961 al 1992 sconfiggendo terrorismo e inflazione e dando all’Italia quel posto che le spettava nel novero delle grandi democrazie industriali. Sappiamo di essere forse tra i pochi a pensarla in questo modo ma ci conforta il fatto che gli altri in questi venti anni, sbagliando, abbiano pensato, che liderismo, bipolarismo e sistema maggioritario fossero gli elementi di una modernità operosa e costruttiva in netto contrasto con quanto, invano, predicavamo noi altri.

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