Renzi lasci perdere le sirene dei mercati e pensi solo a far ripartire l’Italia

Pubblicato il 14 maggio 2014 su ” Il Foglio”
Da qualche mese c’è in giro una certa euforia perchè, si dice, c’è di nuovo una grande attenzione dei mercati sul nostro Paese. L’attenzione è scontata visto che l’Italia è in gran parte in vendita. Le banche sono piene di crediti incagliati con valori immobiliari sottostanti di pregio ed hanno bisogno di far cassa per riprendere gli impieghi verso imprese e famiglie non appena la domanda di credito dovesse riprendere. Inoltre la nuova vigilanza bancaria da parte della BCE a partire dal prossimo anno richiede un assetto patrimoniale ed una liquidità delle banche più forti e più certe dal momento che sono piene di crediti incagliati o in sofferenza e di un immenso patrimonio immobiliare che va assolutamente messo in vendita. A tutto ciò si aggiunge l’annuncio governativo di nuove privatizzazioni per almeno 40 miliardi di euro tra quote ENI, Enel, Poste, Grandi Stazioni, Enav, la Sace ed altre società pubbliche con conti in ordine e con pingui dividendi. Visti i listini di borsa, il prezzo di acquisto è appetibile per la grande liquidità che gira per il mondo. Detto questo, però, bisogna che si discuta con il necessario senso di responsabilità l’opportunità di un’altra ondata di privatizzazioni. Immaginare, come molti affermano, che le privatizzazioni servono a ridurre il debito nel migliore dei casi è una illusione ma spesso è una frode in chi sa e tace. E ci spieghiamo. Già agli inizi degli anni novanta un gruppo di politici misero in vendita beni importanti della nostra economia alienando aziende o quote di esse per circa 160 miliardi di euro. Dopo 20 anni il debito è aumentato di 1200 miliardi di euro passando dagli 839 miliardi di euro di fine ’91 ad oltre 2100 miliardi. Il saldo di quelle operazioni fu disastroso per il patrimonio tecnologico e creditizio del Paese che vide, inoltre, il fermo della propria crescita economica e l’abnorme aumento del debito pubblico. I grandi istituti bancari, a cominciare da San Paolo, Comit e Credit per finire poi a BNL, passarono tutti di mano e se non ci fossero state le tanto bistrattate fondazioni il nostro sistema creditizio sarebbe finito tutto nelle mani di francesi, spagnoli, olandesi e tedeschi. La telefonia mobile e fissa è finita nelle mani straniere così come la siderurgia, l’avionica, la chimica e parte rilevante dell’energia. Responsabilità diffuse di governi privi di visioni globali e di un capitalismo privato inadeguato a reggere grandi aziende hanno prodotto un danno strutturale al Paese senza neanche risanare i conti pubblici. Ed allora è tempo di porre con serietà una grande questione. L’Italia crede di poter copiare un modello economico del tipo di quello inglese, di diventare cioè, una piazza finanziaria con la contestuale riduzione di un’attività industriale, sia essa manifatturiera o di servizi, o intende perseguire un modello franco-tedesco nel quale, senza impedire processi di parziali privatizzazioni, il pubblico ha ancora nelle sue mani gli asset fondamentali di una economia moderna (finanza, telecomunicazioni, avionica, spazio, chimica, ricerca)? Questo è il primo interrogativo da sciogliere tenendo presente che il modello franco-tedesco è quello più coerente ad un Paese come il nostro che è ancora il secondo produttore manifatturiero dell’Europa comunitaria dietro la Germania e che ha nel suo sistema produttivo il 95% di piccole e medie aziende che rappresentano ancora oggi, con la propria creatività e flessibilità, un punto di forza. La seconda questione da porre è ancora più semplice. Se mai si dovesse procedere a nuove privatizzazioni, il relativo gettito deve andare a ridurre il debito o andare all’economia reale che da 18 anni langue impoverendo il Paese? Su questo non abbiamo dubbi. Il toccasana per ridurre il debito è un tasso di crescita stabilmente al di sopra del 2% mentre ridurre di 2-3 punti il rapporto debito/Pil con una economia stagnante significa vedere rapidamente ricrescere debito e povertà. Ci pensi il nostro giovane premier e, se può, lasci perdere le sirene dei mercati, dei suoi epigoni e dei suoi menestrelli. Mantenga in mani pubbliche il controllo di aziende che funzionano e danno dividendi, obblighi gli enti locali a mettere sul mercato le proprie partecipate. Affronti l’abbattimento del debito con una offensiva di persuasione verso la ricchezza nazionale senza patrimoniali ma con tecniche premiali come quelle che abbiamo descritto più volte da queste colonne e utilizzi queste risorse per far ripartire l’economia senza indugiare su riforme costituzionali pasticciate ricordando che sono solo due le forme di una democrazia moderna, quella parlamentare e quella presidenziale. Nella prima le maggioranze si formano in parlamento, nella seconda nell’urna. Tertium non datur.

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