Così in scioltezza e senza alzate di scudi Rosneft s’è pappata Pirelli

Al direttore. Pubblicato il 31 maggio 2014 su ” il Foglio”
Mentre infuria la tragica vicenda dell’Ucraina non ancora risolta dalla diplomazia internazionale nonostante gli accordi di Ginevra di alcune settimane fa, gli oligarchi russi si lasciano scivolare addosso ogni sanzione e continuano a fare affari con tutti i paesi europei ed extraeuropei. Ultimo in ordine di tempo l’ingresso nella Pirelli. Vladimir Putin, attraverso il suo braccio destro economico, Igor Ivanovich Sechin giovane vecchio agente del KGB a capo del colosso energetico russo Rosneft e già sanzionato dagli USA, ha preso infatti il controllo della gloriosa Pirelli per pochi spiccioli. L’antefatto:  quasi un anno fa Tronchetti Provera si assicurò altri 4 anni di gestione del gruppo Pirelli grazie all’aiuto delle due maggiori banche, Intesa e Unicredit, ma innanzitutto del Fondo Clessidra di Claudio Sposito che crearono una newco, Lauro61, che fece prima l’opa Camfin, per delistarla ed avere così il controllo del gruppo Pirelli con il 26%, quota che prima possedeva la stessa Camfin. L’accordo tra le banche, Clessidra e Tronchetti Provera prevedeva che entro 4 anni il patto si sarebbe sciolto e ciascuno avrebbe potuto fare  della proprie azioni quel che voleva fermo restando che Tronchetti avrebbe abbandonato la tolda di comando entro quel tempo. Lo sconfitto Malacalza, peraltro poco assistito, portò a casa una ricca plusvalenza e tutto sembrava tornato alla normalità. Questa versione, naturalmente, era per i creduloni, primi tra tutti i piccoli azionisti che intanto si erano visti scaricare sulle proprie spalle l’onere di tornare ad essere il primo azionista di quella Prelios che ha sotto di sè diverse società di gestione del risparmio che a loro volta hanno decine di fondi che gestiscono oltre 10 miliardi di asset immobiliari e il cui  numero  e la cui solidità finanziaria sembra sostanzialmente sconosciuta alle autorità di controllo, Bankitalia e Consob. Tempo 9 mesi, si cambia tutto così come era largamente prevedibile. Il patto che teneva insieme i soci della Lauro61, infatti, si è siolto e le azioni di Clessidra, di Intesa ed Unicredit sono state comprate dai russi della Rosneft e conferite in una newco che controllerà il gruppo Pirelli con il 26% ( il resto è flottante tranne il 7% nelle mani di Vittorio Malacalza). Il 50% della newco che controllerà Pirelli sarà in mano ai russi e l’altro 50% nelle mani di una compagine chiamata “nuove partecipazioni” di cui Tronchetti avrà l’80% e le due banche il 10% ciascuna. Per le illimitate risorse della Rosneft e della sua espansione internazionale, Putin e il suo gruppo di potere controlleranno una delle poche multinazionali italiane che fatturava al 30 settembre scorso 4,6miliardi di euro (6,1 miliardi in ragion d’anno) con oltre 300 milioni di utile. Il costo per il controllo di questo colosso  costerebbe ai  russi della Rosneft poco più di 700milioni di euro,  per il 13% nel mentre Clessidra recupera una ricca plusvalenza, le banche rientrano in parte della loro esposizione e Tronchetti avrà la guida del gruppo all’infinito. Al 74% degli azionisti solo il gusto di leggere dai giornali che, come per la Crimea, il loro nuovo padrone è il duo Putin- Sechin attraverso la Rosneft. La cosa disarmante è che quel 13% di Pirelli acquistato oggi dai russi e che garantisce loro il controllo della Pirelli, voleva essere acquistato dal secondo azionista del gruppo, tal Malacalza, garantendo così una continuità della italianità che non è di per sè un valore nè un idolo da difendere ma neanche una vergogna da dismettere al punto tale da cedere a Vladimir Putin il controllo di un glorioso brand italiano che godeva e tuttora gode ottima salute pur di garantire a Tronchetti la gestione della società. Questo episodio si inserisce in un quadro di vendita (o svendita)di aziende o di quote di aziende pubbliche e private che lascia prevedere un nuovo futuro di colonizzazione del bel Paese senza che la politica, e gli stessi media, battano ciglia trincerati come sono dietro lo slogan “è il mercato bellezza”. Pochi rammentano che in un mercato globalizzato si costruiscono gli equilibri tra paesi, equilibri non più basati sul militarismo, grazie a Dio, ma sulla finanza, sulla innovazione tecnologica, sulla formazione del capitale umano e sulla ricerca. Essere presenti in questi settori, però, significa avere aziende italiane, pubbliche e private, in grado di concorrere al peso internazionale del paese. Lo Stato pensa di vendere quel poco che c’è rimasto di buono e di strategico e lascia mantenere l’universo mondo delle municipalizzate nelle mani degli enti locali mentre il famoso salotto buono del capitalismo italiano è stato azzerato. Se non ci fossero state le bistrattate fondazioni, oggi l’intero comparto del credito sarebbe già stato controllato da fondi stranieri come lo è oggi quell’ENI di Mattei che fu ed è un potente strumento di politica estera ed energetica. Ci pensino governo e parlamento e abbiano come modello Germania e Francia prima di credere che la modernità sia solo quella angloamericana.

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