Il “non detto” del vertice tra i leader Ue

Pubblicato su “Il Sole 24 Ore” il 29 giugno 2014-

Nel suo primo vero consiglio europeo Matteo Renzi si è mosso con autorevolezza politica forte di essere l’unico capo di governo che ha vinto alla grande le elezioni europee.Una forza politica incrinata,però, da una debolezza di contenuti sul terreno di quelle riforme di cui l’Europa avrebbe bisogno e che dovrebbero caratterizzare il semestre di presidenza italiana. Intendiamoci, sei mesi di presidenza sono un tempo molto breve per ottenere risultati tangibili e strutturali nelle politiche comunitarie ma in quei sei mesi i presidenti più lungimiranti possono incardinare problemi che non potranno più essere ignorati poi dal consiglio e dalparlamento europeo.Citare titoli come la riforma della giustizia, od obiettivi come crescita, lavoro, immigrazione e quant’altro è un esercizio fin troppo facile per un leader come Renzi  perchè la politica non si divide mai sugli obiettivi ma sugli strumenti per raggiungerli. Avremmo voluto sentire, ad esempio, porre sul tavolo del consiglio europeo di come la BCE potrà difendere, con gli strumenti a disposizione, le esportazioni dell’eurozona dalle svalutazioni competitive che non solo le banche centrali degli USA e del Giappone fanno a piene mani ma anche quelle inglesi e quelle degli altri paesi comunitari fuori dall’euro. Basterebbe ricordare che il dollaro si è svalutato rispetto all’euro in 10 anni del 53% e la sterlina del 35% per capire che la questione non è di secondaria importanza. Su questo punto avremmo anche voluto sentire riproporre quel sistema monetario europeo (il serpente monetario) che fece un gran bene alla comunità europea e che saltò nel 1992 per la scelta tedesca di concentrare tutti i suoi sforzi finanziari sull’unificazione del paese ma che oggi, ripristinato, potrebbe offrire un modello di riferimento da trasferire anche sul tavolo del G20 sempre più avvolto nelle spire dell’economia deldebito non sempre sostenibile. E avremmo, infine, voluto sentire l’esigenza di mettere all’ordine del giorno del consiglio europeoanche la questione sempre più urgente di una diversa disciplina dei mercati finanziari la cui deregolamentazione ha originato quel capitalismo finanziario che rappresenta un pericolo grave per l’economia reale mondiale e produce impoverimenti di massa, in particolare nel ceto medio dei paesi occidentali ed arricchimenti irragionevoli che finiscono per costituirsi in veri e propri poteri impropri. Sappiamo bene che questi sono problemi che non si risolvono nello spazio di un semestre ma sappiamo anche che essi costituiscono una delle coordinate di fondo per una rivoluzione pacifica del capitalismo internazionale e un cambiamento di fondo nelle politiche economiche dell’Europa mentre purtroppo da anni nessuno ne parla. E anche Renzi è rimasto sinora in silenzio. Sappiamo anche che la politica monetaria è solo uno degli aspetti di una diversa politica economica che ha invece bisogno di molti altri strumenti, a volte anche di piccole cose possibili. Avremmo, ad esempio, sentito con piacere mettere all’ordine del giorno del semestre italiano la cancellazione dell’obbligo del co-finanziamento nazionale per l’utilizzo dei fondi europei cheaffanna i paesi con alto debito e deficit border-line che è cosa diversa dal chiedere di espungere dal calcolo del deficit di bilancio in parte o in tutto gli investimenti pubblici come pure e’stato chiesto ricevendo la conferma di una flessibilità nei piani di rientro dai deficit pubblici.Flessibilità e’una parola troppo generica anche se giusta mentre la cancellazione dell’obbligo del cofinanziamento sarebbe più semplice ottenerlo dando così respiro alle nostre finanze pubbliche sempre quando,poi,sapessimo concentrare l’utilizzo rapido dei fondi europei su pochi obiettivi strategici per far ripartire la stanca economia italiana.Alla stessa maniera vorremmo che Renzi ponesse con forza la richiesta di eliminare tutti i paradisi fiscali con sede negli Stati membri della comunità europea per rendere credibile la lotta all’evasione fiscale che un giorno si e l’altro pure viene sbandierato come un obiettivo prioritario. Avremmo, infine, sentito con piacere rappresentare l’esigenza che il bilancio comunitario concentri sforzi maggiori su ricerca e innovazione anche attraverso un’azione di coordinamento incentivato tra i singoli Stati o quella di imboccare definitivamente la strada già delineata 10 anni fa per un esercito europeo capace di massimizzare l’efficienza e l’efficacia delle forze armate continentali e nel contempo ridurre il peso  delle stesse sui bilanci nazionali. Insomma troppe speranze il dinamismo di Renzi ha suscitato in Italia e forse anche in alcuni paesi europei per fargli mancare critiche e suggerimenti al fine di non perdere l’opportunità  di avviare quel processo di cambiamento profondo dell’Europa comunitaria che tutti attendono. L’auspicio è che sia smentita dai fatti la nostra parziale delusione di questi primi passi di Renzi in Europa

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