Draghi non basta

articolo pubblicato il 9 settembre 2014 su Il Foglio Quotidiano

Le decisioni della BCE ed in particolare di Mario Draghi sono state accolte con euforia dai mercati e dalla grande stampa di informazione. Alcuni hanno addirittura paragonato queste decisioni al New Deal di Roosevelt che fece uscire il mondo dalla grande depressione mondiale iniziata nel 1929. Un euforia un po’ esagerata tanto da farci venire subito alla mente il vecchio proverbio secondo il quale tutto ciò che è clamoroso non esiste. Siamo chiari. E’ questa sorta di ubriacatura ottimistica che non esiste,o, per meglio dire, che non deve esistere ma che i provvedimenti adottati a maggioranza dalla BCE siano uno stimolo all’economia dell’eurozona è fuor di dubbio. Innanzitutto la riduzione del tasso di riferimento allo 0,05 è una risposta doverosa alle svalutazioni competitive del dollaro, della sterlina e dello yen tanto che l’euro ha subito toccato quota 1,30 per un dollaro aiutando così le nostre esportazioni e importando un po’ di inflazione riducendo anche lo spread dando sollievo ai bilanci pubblici. Le decisioni della BCE inoltre hanno confermato che la crisi che stiamo vivendo è una crisi di domanda e non dell’offerta ed è tempo che l’Europa politica ne prenda atto e si comporti di conseguenza. E’ vero che una riduzione del costo del denaro aiuta le imprese le quali, però, investiranno solo se riprende la domanda la quale, a sua volta, è solo in parte legata ad una politica monetaria espansiva. Il dramma del Giappone che in tutti gli anni novanta ebbe tassi di interesse addirittura negativi e non vide ripartire l’economia è la più autorevole testimonianza di quel che diciamo. D’altro canto è stato lo stesso Draghi più volte a spiegare che la politica economica è qualcosa di più ampio e di più complesso della politica monetaria che resta uno strumento importante ma che da solo non sortisce effetti massicci e definitivi. In un paese indebitato come l’Italia ed in cui banche ed imprese non hanno soverchia solidità finanziaria produrrà più effetto l’acquisto massiccio dei cosiddetti ABS (asset backed securities, cioè obbligazioni garantite delle banche) che non la intelligente e coraggiosa riduzione del tasso di riferimento che, ripetiamo, avrà effetti positivi sui bilanci pubblici e delle imprese sempre quando il sistema bancario saprà traslare su di loro l’effetto benefico senza essere oppresso da una vigilanza burocratica e formalistica. Questo ragionamento può sembrare controcorrente mentre invece non lo è affatto. Da tempo sosteniamo che se da un lato non possiamo immaginare una Eurozona che continua ad avere una banca centrale priva di tutti i poteri che hanno le altre banche centrali a cominciare dal controllo della massa monetaria (e Draghi è stato bravissimo ad aggirare questa sua strutturale debolezza con le decisioni assunte a maggioranza) è anche vero che per crescere c’è bisogno di risorse pubbliche e private per garantire investimenti, riduzione della pressione fiscale su famiglie e imprese, sostegno a ricerca e innovazione, insomma tutte cose che dicono tutti di voler fare ma che per essere fatte hanno bisogno di risorse vere. Gli Stati Uniti e lo stesso Giappone le hanno trovate aumentando debito e massa monetaria, mettendo così per dirla brutalmente, in circolo quattrini mentre una politica monetaria espansiva favoriva una svalutazione competitiva delle rispettive monete aiutando le proprie esportazioni e rendeva più basso per i privati il costo del denaro. Non a caso quando Enrico Letta andò da Obama si sentì chiedere come avrebbe garantito la crescita senza risorse. Letta non rispose e con lui l’intera classe dirigente italiana e siamo ancora al palo. Obama affrontò la crisi dell’auto, e della Chrysler in particolare, dando a Marchionne risorse ingenti senza le quali il simpatico amministratore della Fiat con tutti i suoi maglioni blu avrebbe fatto cilecca. Per dirla in parole povere, insomma, senza soldi non si cantano messe. Ed allora dobbiamo cogliere questa opportunità che ha dato la BCE per investire nel nostro paese e nella nostra sgangherata economia risorse importanti e nuove. Una parte potrà venire da una diversa allocazione della spesa pubblica per favorire quella in conto capitale ma questa operazione che incide sulla qualità della spesa non è, da quanto si legge, nella mente del governo che pensa di ridurre la spesa pubblica non di trasformarla. Ed in una lunga fase di recessione come quella che stiamo vivendo questa idea è un errore. Se anche il governo si convincesse del contrario, però, l’operazione di riqualificazione della spesa richiede tempo (in verità anche la semplice riduzione ha bisogno di tempo) e purtroppo di tempo non ne abbiamo. Ma da questa fonte le risorse che si dovessero, comunque, trovare per miracolo saranno del tutto insufficienti per far ripartire la crescita. E allora? Da tempo, in maniera quasi ossessiva, spieghiamo che questo è il nodo che deve essere sciolto per fare uscire l’Italia dal tunnel in cui si è cacciata da venti anni ed abbiamo avanzato anche proposte dettagliate. Non ci siamo mai impiccati alle nostre idee ma ciò che ci sgomenta è il fatto che nè governo nè opposizione discutono di questo nodo ma si accapigliano sul terreno delle riforme strutturali (mercato del lavoro, pubblica amministrazione, istruzione e formazione, istituzioni) che sono importanti perché se fatte per bene rendono un paese più efficiente ma da sole non potranno mai, nel tempo breve, far ripartire l’economia italiana che sta letteralmente sprofondando. Draghi ha ripetuto che la crescita si fonda su tre pilastri, il fisco, la politica monetaria e le riforme. Bene, ma se la parola “riforma”non è un termine passe-partout, per ridurre la pressione fiscale c’è bisogno di trovare le risorse. Qualcuno ci può dire nel governo e nell’intero parlamento da dove prenderle? E già che ci siamo perché in Europa ed in Italia nessuno parla della riforma della disciplina dei mercati finanziari? Ecco la morsa che sta stritolando l’Italia e l’Europa e non solo, da un lato mercati finanziari intoccabili con profitti “irragionevoli” e dall’altra una economia reale priva di risorse adeguate. I risultati sono povertà e disuguaglianze entrambe crescenti con la tentazione di pensare che la soluzione sia far diventare tutti più eguali nella povertà. Stiamo davvero attenti perché se si sbaglia strada la miscela diventa politicamente esplosiva.

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