L’Italicum e la colpa

articolo pubblicato il 21 gennaio 2015 su Il Foglio Quotidiano

Cosa mai abbiamo fatto per ridurci in questo stato? Sembra questa la domanda angosciosa che ciascuno si fa da un po’ di tempo a questa parte dinanzi allo sgretolamento politico-istituzionale del paese e più ancora dinanzi ad una crisi economica che non accenna a finire. Ma andiamo con ordine partendo dalla situazione politico-istituzionale. Dopo venti anni di partiti personali, con scarsissimi riferimenti culturali e privi di meccanismi di selezione darwiniana della dirigenza, ci stiamo avviando a passi spediti verso un nuovo assetto del sistema politico. Resta e trionfa il modello del partito personale nel quale la collegialità è da tempo smarrita ed è sostituita da una cooptazione di donne ed uomini privi di un forte radicamento territoriale e più ancora di cultura di governo abituati sempre più ad obbedir tacendo e tacendo votare. La giovinezza da opportunità è diventata un valore in sè con tutto quel che ne consegue nella difficile arte del governo e nella legislazione divenuta sciatta e bulimica con l’aggravante della comparsa di leggi “matrioska” che producono decine e decine di decreti attuativi spesso mai attuati. Come la storia ci insegna, i partiti si organizzano sui modelli che poi vogliono trasferire nelle istituzioni repubblicane. E così i partiti personali stanno per dar vita ad un monocameralismo che sarà preda di un partito di minoranza nel paese che sarà, grazie alle tecnicalità elettorali, maggioranza assoluta in un  parlamento dimezzato costituito a sua volta ad immagine e somiglianza di ciascuno dei 3-4 segretari politici. Al termine di questo sciagurato voltar pagina avremo un solo padrone dell’unica Camera che sarà anche presidente del consiglio e che avrà il potere di nominare tutti gli organi di garanzia. Tra sette anni anche il presidente della Repubblica! Questo sistema, piaccia o no ai tanti modernisti, produrrà un crescente autoritarismo, una classe dirigente cortigiana accoppiata ad una sordità assoluta per i bisogni popolari. Non siamo Cassandre, anzi, ma conosciamo i meccanismi della politica e gli insegnamenti della storia e di questa vicenda conosciamo da tempo il finale. Di chi, dunque, la responsabilità? A nostro giudizio innanzitutto dei democristiani presenti ancora in massa nei diversi partiti e dei socialisti ancora sul campo perché essi, più di altri, hanno la cultura necessaria ad uno Stato moderno ed hanno dato nelle precedenti esperienze un contributo fondamentale all’affermarsi della democrazia politica. Ebbene il loro silenzio in questa stagione è talmente assordante da rasentare o lo stupore psichico o la complicità per piccole convenienze personali. Sarebbe ora, forse, non chiamarli più nè democristiani nè socialisti. Non è esente da colpe la sparuta pattuglia degli ex comunisti che appaiono pallidi spettri di un mondo scomparso ma che, pur nella condizione di “specie protetta” in via di estinzione, restano, però, gli ultimi ad avere sussulti democratici tentando di evitare le cose peggiori. Una grande responsabilità ricade anche sulle spalle degli intellettuali che tranne rare eccezioni, hanno messo al servizio del potere autocratico il loro sapere e la loro cultura. E questo vale anche per la grande stampa di informazione alla quale non chiediamo di parteggiare quanto di informare cosa sarà la nostra democrazia politica dopo questa legge elettorale rispetto alla quale la legge Acerbo impallidisce. E nessuno ci venga a parlare di governabilità. Chi l’avesse davvero a cuore sosterrebbe un sistema presidenziale con i naturali contrappesi, primo fra tutti un parlamento di donne ed uomini liberi cresciuti in partiti democratici e a direzione collegiale e non una finta democrazia parlamentare con un parlamento farlocco.Tutto ciò non spaventerebbe i leader veri abituati a convincere e non ad ordinare. Non abbiamo mai preteso di avere la verità in tasca ma non abbiamo letto uno scampolo di argomentazione capace di tranquillizzarci sul destino di questa democrazia politica spesso difesa con la vita innanzitutto dai democratici cristiani. In questo quadro di sfarinamento istituzionale l’economia italiana da venti anni arranca, la povertà recluta intere aree della società, l’occupazione si riduce a vista d’occhio mentre una ristretta elite diventa sempre più ricca creando fratture sociali che prima o poi si trasformeranno in terremoti devastanti. E mentre i nostri protagonisti politici sono attratti solo dal rafforzamento del potere per il potere, l’Italia produttiva e finanziaria sta passando di mano relegando il nostro paese in un ruolo diverso dal passato, il ruolo di un paese appartenente ad una sorta di nuovo Commonwealth il cui governo non è affidato ad una regina amata dal popolo o ad un governo democratico ma ad un intreccio tra finanza e burocrazia europea che rappresenta la nuova sovranità elitaria mentre la società italiana sprofonda, come un paese colonizzato, in un mercato di consumi e di produttori per conto terzi. Ma di questo avremo modo di parlarne nel dettaglio una prossima volta.

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