il Sud assente e il monito di Napolitano

articolo pubblicato su Il Mattino il 16 giugno 2015

Bisogna essere grati a Giorgio Napolitano  per quanto ha detto alla fondazione Banco di Napoli qualche giorno fa sui ritardi del mezzogiorno e sulla sostanziale rimozione della questione meridionale dalla vicenda politica nazionale. Bisogna essergli grato perché ancora una volta il presidente emerito della Repubblica testimonia una onestà intellettuale non di poco conto visto che in questi ultimi venti anni due uomini politici hanno avuto a Napoli e nel mezzogiorno poteri mai visti nella storia repubblicana, Antonio Bassolino e lo stesso Giorgio Napolitano. Il primo è stato sindaco della città per nove anni durante i quali è stato anche ministro del lavoro e poi per dieci anni presidente della giunta regionale con molti poteri commissariali in diversi settori strategici a cominciare dai rifiuti. Napolitano, invece, è stato per due anni e mezzo ministro dell’interno e poi per nove anni presidente della Repubblica. Ecco perché l’allarme lanciato da Napolitano ha un suo spessore etico visto che nella rimozione della questione meridionale il suo partito, lui stesso ed un altro suo compagno napoletano hanno responsabilità primarie. Se ricordiamo queste cose non è per sciocca polemica ma perché senza memoria il futuro non si costruirà mai. E quanti dicono che la borghesia napoletana è silente e chiusa nel suo “particolare”rischia di fornire un alibi alle carenze di una politica che quando c’è stata, a Napoli e nel sud, ha saputo mobilitare il meglio della intelligenza cittadina per il futuro della nostra città. Lo stesso Napolitano ricorderà quando ha guidato nel 1991 il suo governo ombra in una riunione al ministero del bilancio per discutere del progetto di Neonapoli messo in piedi da chi scrive con l’aiuto di Giuseppe Galasso all’epoca sottosegretario al Mezzogiorno. Quel progetto che fu discusso con me al ministero del bilancio insieme ai ministri-ombra di Napolitano (Reichlin, Bassanini, Visco, Chicco Testa ecc) non era il frutto di una solitudine del governo dell’epoca o di alcuni suoi uomini quanto il prodotto di mesi di lavoro in cui furono impegnati gratuitamente il meglio della intellighenzia napoletana di diversa estrazione culturale e politica insieme ai corpi intermedi a cominciare dai sindacati, dalla Unione degli industriali e dalla Camera di Commercio. Se ricordiamo tutto ciò non è certo per dire “quando eravamo belli” venti anni fa ma solo per sottolineare che la società civile, ed in particolare quella meridionale le cui rappresentanze sono meno forti di quelle del nord, o viene mobilitata dalla politica e da una cultura di governo o si piega su se stessa in una desolata e disperata solitudine. Cultura di governo, ecco la vera assenza che Napoli ed il Sud hanno subito in questi venti anni con l’aggravante di una crisi drammatica iniziata nel 2007 e che ancora oggi morde a sangue le nostre popolazioni. Bagnoli, il porto, una piattaforma logistica che unisca le forze del Cis e dell’interporto di Marcianise finanziato oltre venti anni or sono come attrattore essenziale di attività produttive, la sciatteria e le parzialità dei progetti europei non a caso bocciati ultimamente dalla commissione, il risanamento urbano e la bonifica dei territori inquinati in maniera massiccia in questi venti anni, per parlare di Napoli e della Campania sono solo alcuni esempi drammatici dell’assenza di una cultura di governo e di una amministrazione pubblica totalmente inadeguata ai bisogni vecchi e nuovi della città e della regione (valga per tutti il blocco della privatizzazione degli immobili napoletani affidati al genericismo della società multiservizi che sembra dopo quattro anni possa vendere tre case, tre di numero, mentre nel solo 2012 la Romeo consegnò al comune oltre cento milioni di dismissioni immobiliari). E quel che vale per Napoli e per la Campania vale per tutto il Sud anche se in alcune regioni come la Puglia i poteri locali hanno fatto di più e di meglio ma fuori da una politica economica nazionale che includesse il mezzogiorno. Anche qui un esempio per tutti. La decontribuzione triennale per i nuovi assunti entro gli otto mila euro varata dal governo Renzi che sta dando buoni frutti iniziali cosa altro è se non la riscoperta della fiscalizzazione degli oneri sociali per tutta la nuova occupazione nel sud interrotta venti anni fa così come la esenzione dell’Ires (ieri dell’Irpeg) e la cui durata era di ben nove anni? Se oggi Marchionne rilancia la produzione di auto a Melfi può farlo perché nel ’90 chi scrive firmò con Romiti un significativo contratto di programma utilizzato all’epoca anche per la Olivetti, la Bull, la Alenia e tante altre attività industriali mentre oggi si vende la Indesit alla Whirlpool che per prima cosa cancella il sud dalla sua attività produttiva davanti ad un governo attonito mentre Invitalia e la sua guida intelligente è oppressa da normative che spesso impediscono il migliore uso delle risorse in settori trainanti come quelli del turismo. Ci fermiamo qui solo per ripetere che senza memoria non c’è futuro e la memoria deve spingere innanzitutto le forze politiche a strutturarsi come partiti veri e democratici capaci di formare e selezionare classe dirigente invece di limitarsi a discutibili comitati elettorali per iniettare nelle istituzioni quella scomparsa cultura di governo. E a questo proposito forse vale la pena ricordare ciò disse un grande tecnico che guidò con me e Formica la politica economica nel triennio ’89-’92, Guido Carli, che accettando da Andreotti l’incarico di ministro del tesoro mise una sola condizione e cioè che alle finanze ed al bilancio ci fossero stati due politici perché, disse, “il governo dei tecnici o è una illusione o una eversione”. Naturalmente per rispettare questa saggia riflessione c’è bisogno che vi siano però politici strutturati ricchi di esperienza e di cultura di governo nati e cresciuti in partiti veri.

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