Non sottovalutare l’euroscintilla

articolo pubblicato su Il Mattino l’8 luglio 2015

A due giorni dal voto referendario con il quale il popolo greco ha respinto l’accordo economico che la commissione europea proponeva a Tsipras la situazione è ancora in stallo e i mercati sono ancora in allarme. Pochi in Europa hanno compreso che quel voto greco è un punto di svolta nella vita dell’Europa comunitaria. Il referendum infatti ha tolto dal tavolo della negoziazione il governo Tsipras e al suo posto ha messo il popolo greco nella sua stragrande maggioranza che aspetta dall’Europa una responsabilità diversa che consenta una vera sostenibilità di una proposta di medio periodo. Il voto greco non è contro l’euro ma contro una Europa che sembra non avere più una politica se non quella dei tagli e della bassa crescita. Non a caso nella intricata vicenda greca accanto a ritardi, incertezze e ambiguità è emersa proprio una allarmante crisi politica di cui non si ha ricordo negli ultimi 50 anni. Una crisi della politica che ha determinato una supplenza della banca centrale europea guidata con saggezza da Mario Draghi. Tanto per capirci, la BCE nacque con un limite strutturale rispetto a tutte le altre banche centrali, quello di non poter stampare moneta. Con la crisi del 2007 questo limite pesò non poco sui destini dell’eurozona perchè la Fed americana, la Banca d’Inghilterra e la Banca centrale giapponese inondarono i mercati di liquidità per frenare gli effetti di una pesante recessione attivando così una svalutazione competitiva delle monete (il dollaro si era svalutato del 50% e la sterlina del 35% rispetto all’euro) con un danno notevole alle esportazioni dell’eurozona. Ebbene Draghi ha assunto una decisione tutta politica in contrasto con la Germania della Merkel e cioè quella di inondare anche l’eurozona di grande liquidità affidando alle tecnicalità la soluzione pratica del problema (il cosiddetto “quantitative easing”) con il voto contrario di Jens Weidmann rappresentante della Bundesbank. Con questa decisione Draghi ha rimesso, di fatto, la BCE in parallelo con le altre banche centrali ed i risultati si sono subito visti. Morale della favola: la politica assume la decisione, la tecnica segue. Draghi, infatti, tra i governatori delle banche centrali, è quello che ha maggior talento politico avendo visione e coraggio. Il consiglio europeo, quello che riunisce i capi di Stato e di governo, invece, ha dimostrato di non avere nè l’una nè l’altro e neanche la forza di obbligare paesi come la Germania con un avanzo commerciale superiore al 6% da oltre 3 anni di praticare politiche espansive così come da trattato e da regolamenti. In questo vuoto di idee e di coraggio il consiglio ha finito col seguire la logica dei tagli del Fondo monetario internazionale la cui storia è costellata di errori tragici che hanno messo in ginocchio molti paesi (dalla crisi asiatica del 1997 all’Argentina del 2001 sino agli interventi nell’Africa sub-sahariana). Per sua natura, e contro la ratio con la quale era nato, il FMI è diventato, infatti, l’arcangelo del credo liberista e il tutore esclusivo degli interessi dei creditori senza mai tenere sufficientemente nel conto le ragioni dei paesi debitori e l’obiettivo della loro crescita economica. È infatti convinzione comune che se il consiglio europeo avesse svolto il proprio ruolo politico la crisi greca si sarebbe risolta già da tempo e con minore costo. Si pensi, ad esempio, che Draghi sta dando liquidità ai paesi dell’eurozona per oltre 1100 miliardi di euro in 18 mesi mentre il massimo organo politico dell’Europa, e cioè, il Consiglio dei capi di Stato e di governo, cincischia nell’abbattere in parte il debito nominale della Grecia dando alcuni anni di preammortamento e favorire, così, la ripresa economica di una popolazione alla fame avendo i creditori, vecchi e nuovi, già guadagnato nel tempo non poco sul debito greco. Naturalmente la Grecia deve fare alcune essenziali riforme,ma le riforme richiedono un tempo per essere sostenibili. Se il Consiglio europeo è in un pantano, il parlamento di Strasburgo è letteralmente scomparso in questa vicenda nonostante il rischio che l’eventuale uscita della Grecia dall’euro, possa innescare un processo di lenta dissoluzione dell’Europa comunitaria e una modifica dell’assetto geopolitico del Mediterraneo. Inoltre la miopia del consiglio (Italia compresa) e del parlamento europeo in questi mesi non solo ha alimentato lo psicodramma della piccola Grecia ma ha consentito l’approvazione della unione bancaria avviando anche una unione dei mercati di capitali per cui, alla fine della giostra, avremo in Europa sempre più un governo della finanza con una politica debole e balbettante in una stagione nella quale proprio il capitalismo finanziario è alla radice di tanti guai tra cui l’impoverimento di larghe fasce delle popolazioni occidentali. La Grecia rischia di essere così, con il suo voto di domenica, una spia di ciò che può diventare l’Europa, una sorta di pentola a pressione dentro la quale ribollono nuove povertà di massa e grandi ricchezze finanziarie elitarie con il rischio di una esplosione catastrofica. Nel 1919 con il trattato di Versailles i vincitori della prima guerra mondiale non furono lungimiranti con gli sconfitti caricandoli di debiti intollerabili e nacque il nazismo e a seguire la seconda guerra mondiale. Quell’errore non fu ripetuto nel secondo dopoguerra e gli sconfitti, Germania, Italia e Giappone, tornarono ad essere grandi democrazie e culle di antiche civiltà. Il Consiglio europeo nei prossimi giorni ricordi a se stesso che senza la politica, la sua visione e il suo coraggio tutto è perduto e che i grandi processi distruttivi nascono nel mondo sempre da una scintilla minore, spesso prodotta da un mix di incomprensioni e di arroganza. Quello che per l’appunto sta oggi accadendo nella eurozona e più in generale nella Europa comunitaria.

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