Il “vincolo esterno” è sempre stato inutile, prima di Maastricht

articolo pubblicato su Il Foglio Quotidiano il 30 gennaio 2016

Nell’assumere la carica di ministro del bilancio e della programmazione economica alla metà del 1989 nel governo Andreotti istituii subito una task-force di autorevoli economisti per supportare la mia azione politica e quella dell’intero governo. Alla guida di quell’autorevole gruppo che comprendeva, tra gli altri, Mario Monti, Antonio Pedone, Giancarlo Morcaldo, chiamai Paolo Savona persona di grande perbenismo e di grande cultura economica oltre che un amico personale da diversi anni. Ho letto con attenzione il suo ultimo articolo e credo di dover contribuire al dibattito da lui sollevato mettendo a fuoco qualche ricordo per onore della verità. È vero che Guido Carli, e più ancora Carlo Azeglio Ciampi, dava al cosiddetto vincolo esterno virtù salvifiche per costringere governi e parlamenti ad essere i più virtuosi possibili. Ma quel vincolo esterno di cui parla Savona fu posto addirittura due anni prima della firma degli accordi di Maastricht e cioè nel gennaio del 1990 quando l’allora governatore Carlo Azeglio Ciampi, di intesa con Carli naturalmente, passò la lira dalla cosiddetta banda larga di oscillazione (+/- 6.5%) dell’allora vigente sistema monetario europeo alla banda stretta (+/- 2.5%). In soldoni il vincolo esterno che pure era insito nello SME, come ricorda giustamente Savona, fu reso più stringente ancora con la conseguenza di un ulteriore aumento dei tassi di interesse per la collocazione sul mercato dei nostri titoli del debito pubblico e, a cascata quindi, un ulteriore aumento della spesa pubblica corrente. Ricordo nitidamente la mia dichiarazione stampa dell’epoca con la quale dicevo “ è tempo che la politica monetaria si faccia carico della politica di bilancio” che mi costò una intera pagina di critica da parte di Repubblica. Quella fu l’unica occasione in cui ebbi una idea diversa da Guido Carli informandone anche Giulio Andreotti. L’autorevolezza di Ciampi e Carli finì però per far premio e nessuno tra i miei autorevoli consiglieri economici e men che meno tra i tanti bravi economisti italiani, ebbero a ridire qualcosa. Due anni dopo avvennero gli accordi di Maastricht che non erano immediati vincoli esterni ma regole necessarie per costruire quella unione monetaria parallelamente alla tanto auspicata unione politica. Otto anni non sono pochi per prepararsi all’ingresso dell’euro ma dalla fine del 1991 al 1998 perdemmo molte occasioni e se il governo Prodi riuscì a riportare sotto il 3% il rapporto deficit/Pil fu grazie al crollo internazionale dei tassi d’interesse che in 3 anni ci fece risparmiare 5.2 punti di Pil di spesa per interessi cui si aggiunse un taglio dello 0.8 della spesa in conto capitale. Perchè quegli anni furono anni perduti per l’Italia e per l’Europa? A nostro giudizio perchè l’Italia non mise mano alle riforme strutturali e quelle varate, come la riforma Bassanini della P.A., finirono per aumentare la spesa degli enti locali con l’abolizione dei vecchi comitati di controllo su Comuni e Province che erano oggettivamente un deterrente alla spesa facile degli enti locali. Ma per l’Europa e per l’Italia l’altro errore fu quello di non convergere gli sforzi per ridurre le forti disuguaglianze tra le bilance dei pagamenti dei singoli Stati anche dopo l’ingresso ufficiale nell’euro minando, così, la solidità della moneta unica stretta nella tenaglia di debiti sovrani crescenti e da avanzi commerciali altrettanto crescenti ed anomali come quello tedesco che avrebbero dovuto alimentare politiche espansive che non videro mai luce. Ancora oggi quei livelli di avanzi commerciali restano privi di politiche espansive mentre pur essendo previste non vengono applicate sanzioni alla stessa maniera di quando si sanzionano deficit di bilancio superiori al 3%. Ad onore di Carli e di quel governo va ricordato che per la prima volta ci fu, nel 1991, l’azzeramento del disavanzo primario tanto che alcuni anni dopo la società degli economisti italiani dichiarò in un suo congresso che il primo governo che aveva iniziato il risanamento dei conti pubblici fu proprio il governo Andreotti-Carli-Formica-Pomicino come mi comunicarono con una amichevole telefonata sia Ferruccio De Bortoli, all’epoca direttore del Corriere, sia Mario Draghi direttore generale del Tesoro. La inutilità del vincolo esterno è stata da me sempre sostenuta per la banale convinzione che una classe dirigente deve avere dentro di sè comportamenti virtuosi e se non li ha non c’è vincolo che tenga. A questo punto concordo con Savona nel ritenere che se non si riformano i trattati e se non si attivano quei doveri previsti e ricordati sia da parte dei paesi con avanzi commerciali importanti da più anni (vedi Germania) sia di quelli con deficit importanti di bilancio e con forti asimmetrie della bilancia dei pagamenti sarà l’euro a lasciare i paesi piuttosto che il contrario. Detto questo, però, è fondamentale che l’Italia smetta di essere tra le cenerentole d’Europa per tasso di crescita perchè sono 20 anni esatti che la nostra ripresa economica è largamente al di sotto della media dell’eurozona ed è altrettanto indispensabile abbattere il debito pubblico per recuperare le risorse necessarie alla crescita medesima. Allo stesso modo è necessario che l’Europa metta in agenda una nuova disciplina dei mercati finanziari per contrastare i guasti prodotti nell’economia reale da un capitalismo finanziario selvaggio e globale e che si torni a parlare nel G20 di un nuovo ordine monetario come avvenne nel 1943-44 a Bretton Woods. Va da sè, infatti, che senza incidere su economia reale e finanziarizzazione, moneta unica o morte dell’euro non modificheranno l’inarrestabile declino economico del nostro vecchio continente.

Be the first to comment on "Il “vincolo esterno” è sempre stato inutile, prima di Maastricht"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato.


*