Siamo in guerra, ma il mondo sembra in mano a piccoli leader

articolo pubblicato su Il Foglio Quotidiano il 9 Aprile 2016

La strage all’aeroporto di Bruxelles e nella sua metropolitana è l’ultimo drammatico anello di un terrorismo che sembra possa colpire sempre e dovunque. Il tema però è come mettere fine a quella che giustamente Papa Francesco ha chiamato la terza guerra mondiale a pezzi. Dietro il terrorismo ci sono gli errori di molti paesi e le finanze di altri che ormai fanno la guerra “per procura in territori diversi dai propri”. Tre sono i focolai. L’Ucraina, la Siria e l’Iraq, il nord- Africa. Se la guerra c’è, e c’è anche se in forme diverse da quelle tradizionali, deve essere la politica a trovare il bandolo di una soluzione che al contrario la forza militare non potrà mai trovare anche se, davanti ai ritardi, l’uso delle armi rischia di essere l’unico rimedio per fronteggiare nel breve il fanatismo e la follia di omicidi di massa. Ma andiamo con ordine partendo dal focolaio mediorientale. I protagonisti delle tensioni in quella regione sono L’Iran, la Turchia e l’Arabia Saudita diversamente schierate. La prima a tutela degli sciiti con Assad al fianco e le ultime due a tutela dei sunniti contro Assad anche se ad esse vanno aggiunte altre minoranze etniche prima fra tutte quei curdi oggi sono tra quelli che più combattono sul campo le milizie del califfato. Le potenze del mondo in grado di influenzare questi protagonisti “regionali” sono innanzitutto Russia e Stati Uniti insieme alla Germania, a Francia e Gran Bretagna. I rapporti tra Turchia, Arabia Saudita e Stati Uniti sono antichi e noti sia sul piano militare (Nato) che su quello finanziario. Alla stessa maniera sono solidi i rapporti tra Turchia e Germania che ormai ha nel proprio paese una grande popolazione turca ampiamente integrata. La Gran Bretagna ha stretti legami di stampo identitari con gli USA mentre i francesi hanno in Europa un asse strettissimo con la Germania per tenere insieme una Europa che fa acqua da tutte le parti. L’iniziativa da perseguire rapidamente è una conferenza di pace sul Medioriente in cui vi siano tutti i protagonisti ricordati e per la quale c’è bisogno di due precondizioni. La prima è quella che Usa e Russia ritrovino un equilibrio smarrito anche se l’accordo con l’Iran è un fatto nuovo e positivo. Tale equilibrio sul piano territoriale passa anche nel non mettere alle frontiere russe capisaldi Nato che finiscono per alimentare provocazioni mentre la difesa del territorio ucraino deve essere affidato ai rapporti Russia-Europa i cui interessi economici ed energetici sono tali da suggerire un equilibrio stabile. Usa e Russia devono prendere coscienza che il vecchio modello di un mondo diviso in due da Yalta in poi è definitivamente superato mentre il multipolarismo per essere produttore di pace e benessere e non scivolare nel caos ha bisogno che le due grandi potenze capaci di influenzare parti rilevanti del pianeta sappiano formare punti di ancoraggio. Usa ed Europa, ad esempio, devono spiegare ad Erdogan che nessuna vocazione neo-ottomana potrà essere tollerata perché la storia quando si ripete passa dalla tragedia alla farsa ma sempre con un corredo di violenze e di morte. Alla stessa maniera gli USA, ma anche l’Europa, dovranno spiegare alla monarchia saudita che la loro ricchezza può essere messa a rischio se le monarchie del golfo dovessero continuare a far defluire danaro nelle enclave del fanatismo islamico e terrorista perché a brigante si risponderà con brigante e mezzo e prima di colpire il califfato saranno colpiti i loro interessi economici che sono tantissimi. Alla stessa maniera bisogna che la Russia capisca che la politica dei colpi di mano come quello della Crimea non aiuta il processo di pacificazione. Naturalmente facile a dirsi più difficile a farsi perché i rispettivi processi devono camminare parallelamente. Non sfugge, inoltre, a nessuno che una conferenza di pace sul Medioriente che dovrà ridisegnare anche ambiti territoriali in maniera un po’ più saggia di come furono disegnati in un lontano passato ha bisogno di un profondo lavoro diplomatico preparatorio. Ed è altrettanto chiaro che una pacificazione mediorientale porterà con sè anche effetti benefici sul versante nordafricano i cui protagonisti saranno in parte diversi per la presenza dell’Italia, dell’Egitto e della Unione africana. Fuori da questa linea politica e da un approdo il più rapidamente possibile ad una conferenza di pace sul Medioriente non ci saranno servizi segreti che potranno imbrigliare tensioni e frammentazioni di atomi impazziti. Un percorso di questo genere ha bisogno anche di una cornice economica mondiale che aiuti questo sforzo e che dovrà vedere impegnati altri protagonisti, primo fra tutti la Cina che presenta anch’essa due precondizioni, un nuovo ordine monetario, cioè una nuova Bretton Woods per evitare una guerra delle valute e una diversa disciplina dei mercati finanziari con l’obiettivo di favorire l’uso produttivo del capitale piuttosto che il suo uso finanziario in un mondo indebitato e pieno di intollerabili disuguaglianze. Un mondo che dovrà capire se è guidato da piccoli leader o da statisti come quelli che sconfissero nel secolo scorso prima l’autoritarismo imperiale e poi il nazifascismo ed il comunismo.

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