No a una riforma per uso personale

articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 29 giugno 2016

Caro direttore, i risultati delle ultime amministrative, per giudizio unanime, hanno registrato chiaramente una sconfitta del PD, una traballante tenuta del centro-destra ed un successo del M5S che va al di là della conquista di Roma e Torino. Ma i risultati dicono ben altro. Se il successo dei grillini è frutto della voglia di cambiamento, come dicono tutti, compreso il premier che è il primo degli sconfitti, è segno che il sistema politico italiano ha incorporato una volatilità che ricorda quella dei mercati finanziari. Nelle elezioni europee del 2014 la novità, con annessa voglia di cambiamento, si chiamava Renzi e 24 mesi dopo quella novità è già diventata “vecchia” mentre resta intatta, anzi si accentua, quella voglia di cambiamento oggi intercettata dal M5S. Un sistema politico volatile alimenta la instabilità politica e la governabilità di un paese moderno non potrà mai essere recuperata a danno della democrazia come da due anni cerca di fare disperatamente Renzi. Non a caso il presidente del consiglio, in un raptus onirico forse captando per tempo la sconfitta alle amministrative, ha personalizzato il referendum popolare in maniera quasi fanciullesca affermando “o il popolo vota SI o vado a casa”. Così facendo Renzi conferma un sospetto già largamente presente nel paese secondo il quale la riforma costituzionale approvata a maggioranza da uno “strano” parlamento è funzionale solo ad un disegno di puro potere personale grazie anche all’aiuto di una devastante legge elettorale. Questa assoluta personalizzazione del referendum non ha precedenti nella storia repubblicana. Non lo fece De Gasperi durante i lavori della costituente, non lo fece Giuliano Amato quando nel marzo del 2001 approvò la sciagurata riforma del titolo V della costituzione, non lo ha fatto Berlusconi nel 2005. Nessuno lo ha fatto perchè la carta costituzionale è di tutti ed è separata dal governo, che al contrario resta una espressione di una maggioranza transitoria. Inoltre gli effetti di questa riforma costituzionale mutano nel profondo la nostra democrazia politica perché cade in un contesto in cui campeggiano: a) una legge elettorale che non ha precedenti in Europa; b) un sistema politico fatto da partiti personali, nessuno escluso. Ebbene se vincesse il SI, gli italiani non voterebbero mai più la stragrande maggioranza dei propri legislatori che verrebbero nominati, invece, dalle segreterie dei cosiddetti partiti grazie ai capilista bloccati alla Camera e ai consigli regionali che sceglieranno i senatori. Gli effetti devastanti del Si, però, non finiscono qui! Nel contesto politico in cui cade questa riforma, il governo del paese, grazie ad un premio di maggioranza del 15% ed al secondo turno, verrebbe dato ad una minoranza che nel migliore dei casi avrebbe il 40% dei votanti (dopo Mussolini nel 1924 e tranne la DC sino al 1958 nessun partito ha mai superato in elezioni nazionali questa soglia) ma dopo il secondo turno avrebbe poco più del 20% degli elettori. È questa, dunque, la democrazia politica che la coppia Renzi-Napolitano ha pensato per l’Italia? Riflettano a fondo gli organi collegiali del PD e tutti quelli che sia richiamano alla cultura del cattolicesimo politico e del pensiero liberale perché nessuno possa dire domani “io non avevo capito”.

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