Bene ha fatto Renzi a Bratislava, ma ora passi all’azione così

articolo pubblicato su Il Foglio Quotidiano il 21 settembre 2016

È difficile non essere d’accordo questa volta con Matteo Renzi e la sua presa di cappello alla fine del vertice europeo di Bratislava, mal preparato e peggio ancora concluso. Il documento finale, infatti, è acqua fresca. La interpretazione maliziosa che affiora qua e là secondo la quale questo “litigio” tra i tre maggiori leader è una sorta di pantomima utile a tutti e tre per le rispettive prossime scadenze elettorali (e Renzi è il primo a misurarsi sul referendum dopo averlo personalizzato) questa volta non ci convince. È vero che questa posizione di Renzi qualche simpatia in più la può provocare ma è altrettanto vero che Renzi ha aspettato due anni per contrastare un’agenda europea incapace di contenere il drammatico declino sentimentale dello spirito europeista nelle popolazioni continentali. Ancora oggi, a ben vedere, il nostro governo ma anche le altre forze politiche non hanno una proposta articolata per una nuova agenda europea con la quale misurarsi. Renzi dice cose giuste quando si lamenta che nel documento di Bratislava ogni riferimento all’Africa è scomparso non solo, aggiungiamo noi, sul versante drammatico dei flussi migratori ma anche sulle posizioni diverse che Francia ed Italia hanno ad esempio sulla vicenda libica. Ma mentre l’Italia è in compagnia della intera comunità internazionale sotto l’egida dell’Onu, la Francia, continuando la tragica decisione di Sarkozy (e di Blair) di attaccare Gheddafi, balla da sola in difesa del governo del generale Haftar sostenuto dall’Egitto e dagli Emirati Arabi. Quindi bene ha fatto Renzi a prendere le distanze ma adesso si impone che faccia ciò che avrebbe dovuto fare già nel suo semestre di presidenza europea alla fine del 2014 e cioè inserire le due questioni urgenti dell’oggi, e cioè il governo di un flusso migratorio biblico e una politica di crescita, in una nuova agenda europea per i prossimi anni capace di risvegliare quel sentimento europeista smarrito. Questa Europa non piace quasi più a nessuno ma senza l’Europa precipiteremmo tutti in un nanismo politico ed economico spaventoso mentre le nuove sfide del terzo millennio, la migrazione di massa e la finanziarizzazione dell’economia, resterebbero ancora lì con la propria forza devastante. Ma cosa intendiamo per una nuova agenda europea? Già da queste colonne lo abbiamo ricordato alla vigilia della presidenza europea Italia e alla vigilia dell’incontro di Ventotene e lo ripetiamo con assoluta umiltà. Noi riteniamo che i nodi strutturali che bisogna sciogliere per rendere meno asfittica l’unione europea sono: a) una presa d’atto della urgente necessità di affrontare una riforma dei mercati finanziari indispensabile per una nuova politica economica che abbia al centro l’idea di agevolare normativamente e fiscalmente l’uso produttivo del capitale rispetto al suo uso finanziario che sta creando un affanno all’economia reale ed alimenta la crescita delle disuguaglianze sociali; b) riformare la governance europea trasferendo al Parlamento la potestà legislativa primaria e la elezione della commissione lasciando al consiglio dei capi di Stato e di governo la facoltà di porre il veto con una minoranza di blocco corposa e/o di rinviare al parlamento le leggi riducendo nel contempo la bulimia regolamentatrice. Da che mondo è mondo l’unità politica di una comunità la realizza un parlamento non più governi messi insieme e non a caso oggi il vero punto di crisi è il Consiglio europeo nel quale crescono e dominano gli interessi dei singoli Stati senza più un minimo pensiero “europeo”. Al parlamento andrebbe poi riaffidato l’onere di istruire e redigere una costituzione europea dopo il fallimento della bozza degli illuminati di qualche anno fa guidati dal duo Giscard d’Estaing e Giuliano Amato; c) una rapida unione fiscale capace di evitare la scandalosa competizione fiscale tra paesi europei e addirittura tra quelli della eurozona ed una piattaforma unitaria per l’istruzione primaria e secondaria senza impedire l’aggiunta di specificità nazionali per costruire una generazione europea visto che siamo una comunità con lingue e tradizione diverse che meritano sin dall’infanzia una comune piattaforma formativa; d) riproporre in sede di G20 come unione europea un nuovo ordine monetario ad oltre 40 anni dalla fine degli accordi di Bretton Woods per evitare che nella globalizzazione imperante i cambi possano aggiungere ulteriore turbolenza a quelle generate dalla finanziarizzazione dell’economia internazionale. Una scalata politica, come si vede, ma anche un quadro in cui le richieste legittime di oggi (migrazione e crescita economica) assumono una forza ed una dignità profondamente diverse perché offrono a tutti i paesi l’obbligo di “pensare europeo” per costruire un nuovo orizzonte capace di emozionare politicamente le opinioni pubbliche comunitarie. Noi non crediamo di avere alcuna verità in tasca ma sappiamo per antica esperienza che la crisi della Unione Europea di oggi non si affronta togliendo da un fiore appassito un petalo per volta ma solo annaffiandolo con acqua di sorgente proveniente da una fonte culturale e politica di forza pari a quella che ci portò ai patti di Roma.

paolocirinopomicino@gmail.com

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