Il nuovo Congresso di Vienna

articolo pubblicato su Il Foglio Quotidiano il 6 gennaio 2017

A distanza di poco più di due secoli sembra riaffacciarsi una sorta di nuovo Congresso di Vienna con la sua restaurazione dell’ordine pre-rivoluzionario dopo la fine delle guerre napoleoniche. Dopo venti anni di una terribile ubriacatura che ha messo in soffitta non solo la forma partito ma anche le grandi culture che le ispiravano, dopo l’oppressione di un pensiero unico in economia che ha consentito il saccheggio del paese da parte dell’industria e della finanza internazionale e dopo la furia iconoclasta dell’antipolitica con annessa “ratio” di essere tutti più eguali nella povertà sembra svolazzare qualche rondine per annunciare, forse, una nuova primavera. I segnali, per piccoli e necessitati che siano, vanno infatti nella direzione di una restaurazione non conservatrice come peraltro avvenne per lo stesso Congresso di Vienna che rimettendo sul trono i vecchi sovrani avviarono, anche se lentamente, la trasformazione delle monarchie assolute in monarchie costituzionali. Ci riferiamo ad esempio alla riesumazione del principio di legittimità e di equilibrio che, mutatis mutandi, erano i princìpi posti alla base del Congresso di Vienna.  La grande vittoria del No al referendum costituzionale non è forse la riconferma popolare del principio di legittimità di un Parlamento che non può più essere un Parlamento di nominati ma di eletti? E il 60 per cento degli italiani non ha forse chiesto a gran voce il ripristino di un principio di equilibrio tra i poteri dello stato a fronte di un impulso onirico che vedeva, nella sostanza, un uomo solo al comando con la sua corte per rendere più efficiente una democrazia che intanto si smantellava? E come sempre capita nei processi politici gli effetti domino rischiano di farla da padrone. Non è un caso che la pessima figura di una delle più grandi banche d’affari, la JP Morgan, nel processo di ricapitalizzazione del Monte dei Paschi di Siena abbia aperto le porte a un rientro dello stato in alcuni asset strategici come il sistema finanziario, mettendo al tappeto quanti in questi anni hanno ritenuto che lo stato dovesse ritirarsi totalmente da qualunque presenza nell’economia e nella finanza. Non sono forse alla canna del gas quanti sostenevano che il mercato fosse il migliore distributore di ricchezza dopo che hanno alimentato le intollerabili diseguaglianze alle quali si è affiancato da circa 25 anni l’arresto della crescita economica? E per concludere sui guasti degli ultimi 25 anni, non è forse giunto il tempo di ripristinare all’interno dei partiti democrazia e collegialità dopo la sbornia bonapartista dei partiti personali? Le condizioni per una svolta a un tempo restauratrice e progressista ci sono proprio tutte e quel fenomeno chiamato populismo altro non è che il rifiuto netto e forte di un governo di quelle élite inadeguate, complici della grande finanza e sorda ai crescenti bisogni di una società che si sta drammaticamente impoverendo. Qualche segnale di una inversione di marcia nel nostro paese, ma anche in altre società nazionali, c’è ma non c’è dubbio che l’Italia sia stata il paese europeo dove il disordine istituzionale, economico e sociale sia stato più profondo e più diffuso. Sembra strano ma anche il Congresso di Vienna fu influenzato da un grande politico di una nazione sconfitta, il francese Charles Maurice de Talleyrand-Périgord, e il Talleyrand di oggi è quel Sergio Mattarella che fu vicesegretario e ministro di quel partito, la Democrazia cristiana, che, sconfitta da armi improprie, costruì l’Italia del Dopoguerra insieme ai partiti laici e socialisti lasciando crescere democrazia e benessere e sconfiggendo populismi e terrorismi. La prudenza naturalmente è d’obbligo e una rondine, come è noto, non fa primavera così come, però, è altrettanto vero che la politica ha una sua propria forza e prima o poi la primavera arriverà.
paolocirinopomicino@gmail.com

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