L’affare mancato delle sofferenze

articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 31 gennaio 2017

Ormai è sotto gli occhi di tutti la lotta per il controllo delle Generali, la multinazionale italiana oggetto del desiderio del capitalismo francese sin dai tempi di Enrico Cuccia e da questi sempre osteggiato insieme alla politica del tempo. Da un lato Unicredit guidata dal francese Jean Pierre Mustier e dall’altra Banca Intesa sembra in accordo con i tedeschi di Allianz. Oggi parliamo delle ombre francesi sull’attività di Unicredit e prossimamente parleremo di questo improvviso interesse di banca Intesa. Come già ricordammo Unicredit è il primo azionista di Mediobanca che ha per secondo azionista il francese Vincent Bollorè. La presenza francese alla guida di Unicredit e Generali e quella autorevole in Mediobanca che è il primo azionista di Generali lascia legittimamente sospettare che possa esserci un corto circuito che metta insieme un colosso finanziario ed assicurativo che potrà a sua volta essere partecipato o controllato dalla francese Axa da sempre desiderosa della fusione con Generali (le forme possono essere le più diverse). Questo sospetto è confortato dal maxi aumento di capitale di ben 13 miliardi di Unicredit senza alcuna vera esigenza patrimoniale e dalla vendita di Pioneer da parte di Mustier sempre ai francesi di Amundi. Questo aumento di capitale potrebbe servire a modificare la compagine azionaria rafforzando il controllo di alcuni fondi come ad esempio il Capital Management Group che è già passato in pochi mesi dal 6,70 al 7,92 ad oggi. I fondi comprano per sè ma spesso per conto terzi o quando hanno informazioni di prima mano circa il crescente desiderio di qualche grande player di acquisire il controllo di una banca come Unicredit. E non c’è bisogno della zingara per capire che il desiderio sia quello antico del capitalismo francese. Questo aumento di capitale lascia poi perplessi anche perché Unicredit ha venduto ad una cifra intorno al 13-14% del valore nominale ben 17miliardi di NPL (non performing loans, le sofferenze). Se un fondo compra 17 miliardi di crediti in sofferenza con quel tipo di sconto pensa di guadagnarci e non si capisce per quale motivo l’Unicredit non abbia gestito esso stesso le sofferenze proponendo ai debitori la chiusura definitiva della propria pratica con un così forte sconto. Noi abbiamo la documentazione che la banca acquirente chiude le partite con appena il 40-50% di sconto per cui questi fondi che acquistano crediti e sofferenze a valori molto più bassi entro pochi anni portano a casa plusvalenze da capogiro togliendo così ingenti risorse agli azionisti bancari ed anche allo Stato dopo la introduzione assicurativa statale (GACS). Perché un grande istituto bancario non riconverte parte della propria forza lavoro di cui annuncia esuberi impressionanti per gestire direttamente queste sofferenze dopo averle pesantemente svalutate come peraltro ha fatto avendole vendute però al 13/14% del valore nominale trasferendo così ricchezza dagli azionisti ai fondi? Radiofante risponde che è colpa del regolatore (BCE e Banca d’Italia). Noi non sappiamo se ciò risponda al vero ma se un regolatore dà indicazioni incoerenti e lesive degli interessi degli azionisti, perché la banca non lo contraddice argomentando ed investendo altri poteri dello Stato nazionale e dell’Unione europea? È malizia allora pensare che si sommano interessi a dir poco strani per cui si licenzieranno migliaia di dipendenti, un soggetto terzo farà una barca di quattrini comprando sofferenze bancarie a prezzi irrisori e, nel caso specifico, il corto circuito tra Unicredit, Mediobanca e Generali si realizzerà, Intesa permettendo, con maggiore celerità nel silenzio attonito del governo e del Parlamento?

paolocirinopomicino@gmail.com

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