Il peso dell’Italia

Pubblicato su ” Il Foglio” il 9 agosto 2017

Alcuni autorevoli opinionisti scoprono solo ora il sostanziale isolamento dell’Italia sul piano internazionale e gli errori e le omissioni commessi negli ultimi anni. Diciamo subito che l’isolamento di oggi è una assoluta novità per l’Italia contrariamente a quel che pensa Ernesto Galli della Loggia. Se alla fine degli anni ’40 e nella prima metà degli anni ’50 la guerra fredda ci dava “automaticamente” la copertura amichevole degli Stati Uniti è pur vero che all’interno dello scudo della Nato l’Italia giocava un ruolo determinante per molte cose. A cominciare dalla costituzione della comunità del carbone e dell’acciaio (la CECA) fermamente voluta dal francese Shumann e da Alcide de Gasperi. La CECA fu il bozzolo all’interno del quale si svilupparono i legami tra i 6 paesi che poi nel 1957 firmarono i patti di Roma istituendo la comunità economica europea. Anche allora l’Italia ebbe un ruolo propulsore essenziale e i governi a guida DC dell’epoca non avevano neanche il favore di larga parte del paese. Dalla Confindustria di Angelo Costa ai grandi sindacati, dal partito comunista all’estrema destra, la comunità europea era guardata con diffidenza e spesso con avversione. Ma a quell’epoca la politica guidava la società, non la inseguiva. Questo consentiva a tutti i governi di avere una politica estera, con particolare riguardo all’area del Mediterraneo, certamente distinta da quella angloamericana. Basta ricordare, ad esempio, la posizione filo-araba dei democristiani e dei socialisti per favorire una pace tra gli israeliani ed i palestinesi coraggiosa sino all’inverosimile. Andreotti nel 1982 sotto l’egida dell’internazionale parlamentare portò alla Camera dei Deputati Yasser Arafat all’epoca ritenuto un terrorista dalla intelligence americana salvo poi a diventare un interlocutore vero di Israele e degli USA. Una politica estera, insomma, che riconosceva legami ed alleanze anche fuori dall’ortodossia atlantica pur rimanendo ad essa fedele tanto da consentire l’impianto nel 1983 degli euromissili a Comiso in Sicilia contenendo l’ondata pacifista anche di una parte dei cattolici. Ma questa lealtà atlantica non impedì, qualche anno dopo, al governo Craxi-Andreotti di far circondare dai carabinieri i marines che volevano catturare Abu Abbas dall’aereo dirottato a Sigonella nonostante avessero il lasciapassare italiano offerto a Mubarak per togliere l’Achille Lauro, colma di passeggeri e di marinai, dalle mani dei terroristi dell’OLP. Fu forse la più grande crisi tra l’Italia e gli Stati Uniti che Andreotti e Craxi pagarono nel 1992-1994 con il noto tsunami di accuse di ogni tipo. Ma già nel 1985 il ministro del Tesoro Gianni Goria sbattè la porta stanco di aspettare che i 5 paesi (USA, GB, Francia, Germania, Giappone) finissero la riunione del G5 che subito dopo, grazie a quel gesto, si trasformò in G7 con l’ingresso dell’Italia e del Canada. Se ricordiamo alcuni di questi episodi è solo per dire che l’Italia non subì mai un isolamento ed aveva la forza di interloquire sulle maggiori scelte e di perseguire nel contempo politiche anche diverse da quelle della ortodossia atlantica che produsse poi frutti per l’intera alleanza occidentale. Dopo la crisi anglo-libica del 1986, ad esempio, l’Italia fu chiamata finanche a rappresentare gli interessi inglesi in quella terra africana visti i rapporti di stima e di rispetto tra Gheddafi ed il nostro paese. Questo ruolo internazionale dell’Italia era legato a 3 fattori: la qualità dell’intera classe politica dell’epoca, la presenza delle grandi famiglie politiche internazionali ( innanzitutto quella democristiana e quella socialista) nelle quali i partiti italiani giocavano un ruolo importante e la forza economica del paese che nel 1985 era diventata la quita potenza industriale del mondo. L’isolamento di oggi è legato proprio alla scomparsa contestuale di tutti e tre i fattori ricordati. Chi oggi scopre e critica l’isolamento italiano ha taciuto in tutti questi 25 anni durante i quali scomparivano partiti e relative culture e cresceva quel pensiero unico di un liberismo selvaggio e spesso suicida che ha imposto al paese, assoldando anche complicità, la vendita di tutte le eccellenze industriali, creditizie e ricercatrici relegando, di fatto, l’Italia al rango di colonia. A tal punto colonia che nella crisi drammatica della Libia del post-Gheddafi l’intero sistema politico italiano ha dimenticato l’accordo ancora vigente fatto dal governo Berlusconi con il dittatore libico per la costruzione dell’autostrada dell’amicizia che va dai confini dell’Egitto sino a Tunisi passando per tutta la zona costiera della Libia. Il primo lotto ricadente nell’area di Tobruk controllata dal generale Haftar, è stato già assegnato ad un gruppo di aziende italiane che non possono, però, cominciare i lavori portando risorse e occupazione per la mancata sicurezza dei propri lavoratori. Cosa impedisce al nostro governo e al ministro Minniti di concordare con Haftar le misure di sicurezza per avviare i lavori nell’area di Tobruk? E cosa impedisce al presidente Gentiloni di avviare altri lotti nell’area di Tripoli? Se Macron riunisce a Parigi Al Sarraj e Haftar perché l’Italia non può parlare e concordare con entrambi i leader libici dando il via ai lavori di questa autostrada già decisa e finanziata che di fatto porterebbe la nostra frontiera in Libia frenando i flussi migratori portando a quelle popolazioni divise in tribù soldi, lavoro e occupazione? Ma purtroppo siamo diventati una colonia grazie alla inadeguatezza politica ma anche grazie ai nostri silenzi tutti presi come siamo dal gossip sulle amanti, dai processi, dai vitalizi, dalle pensioni di tutta la classe dirigente politica, economica e dell’informazione e dalle piccole vicende di partiti personali. E avviluppati in questa mediocrità cronachistica dimentichiamo naturalmente i fondamentali della politica, a cominciare dai problemi internazionali per finire a quelli sociali e di una economia stressata messa da 25 anni nelle mani di banchieri d’affari e di banchieri centrali o di tecnici di organismi internazionali. La politica è altra cosa e purtroppo Macron lo testimonia!

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