L’inizio di Renzi tra vendette della politica e una grande occasione storica

Pubblicato su “Il Foglio” il 19-12-2013

Al direttore- A distanza di pochi giorni dall’incoronazione a nuovo segretario del PD di Matteo Renzi qualche riflessione in più va fatta. La prima, e se si vuole la più greve, è che “vendetta è fatta”. Un giovane formatosi sui campi del cattolicesimo politico e che alla fine degli anni 90 era il segretario del partito popolare fondato da Martinazzoli, ha steso definitivamente al suolo quel gruppo dirigente dell’ex PCI che nei primi anni ‘90 aveva scelto, o condiviso, la via giudiziaria per la conquista del potere come confidò Gerardo Chiaromonte ad Amato, Altissimo ed al sottoscritto. Un gruppo dirigente comunista che non sapendo governare un processo evolutivo verso il socialismo europeo, pensò bene di azzerare ogni cultura politica nella vana ricerca di una terza via che non c’era e nel contempo di conquistare il potere per via giudiziaria strizzando l’occhio, e non solo, ad alcuni autorevoli circoli finanziari. Questa scelta fu rovinosa per il paese oltre che per la sinistra e fu solo grazie ad un altro personaggio, Romano Prodi, anch’esso proveniente dal cattolicesimo politico, che andò al governo del paese per un tempo limitato. La vittoria di Renzi dunque, ha innanzitutto questo significato riempiendo di verità ciò che scriviamo da tempo e cioè che la politica si vendica di chi l’offende. Il vecchio PCI, con le sue successive trasformazioni semantiche, la offese pesantemente rinunciando alla propria tradizione ed al suo background socialista per abbracciare un’area politica prevalentemente democristiana che, se lo portò alla vittoria con Prodi, lo ha poi stritolato con Renzi e Letta. La vittoria del giovane sindaco di Firenze, però, è qualcosa di diverso e di più grande rispetto alla “vendetta della storia”. È una accelerazione positiva per un diverso assetto di un sistema politico-istituzionale da tempo stagnante e indebolito in un paese che si sta sgretolando sul terreno istituzionale, economico  e sociale. Renzi offre un decisionismo che diventa un fatto positivo se approfondito e rapidamente condiviso se, cioè,  sfugge alla tentazione malefica che da tempo affligge il paese di un liderismo solitario affiancato da un gruppo di fedelissimi che, a loro volta, rischierebbero di trasformarsi in una nuova e più giovane corte dedita “all’obbedir tacendo e tacendo morire”. Le primarie, che restano a nostro giudizio un’anomalia tutta italiana per eleggere il segretario di un partito, sono state certamente un evento democratico, una ventata di aria fresca in un clima politico oppresso da liderismi veri o presunti che negli ultimi vent’ anni hanno sradicato dai partiti ogni forma di vita collegiale e democratica. Renzi deve poter trasformare il suo partito rilanciando la collegialità degli organi tenendo a mente una delle più forti convinzioni del cattolicesimo politico, quella seconda la quale il vero leader è quello che convince non quello che ordina. Ma c’è di più. Nel mondo s’avanza uno scontro diverso da quello che caratterizzò il XIX e il XX secolo, lo scontro tra capitale e lavoro con le sue nefaste conseguenze del nazifascismo e del comunismo. Il nuovo scontro che è già visibile all’orizzonte a quanti hanno una vista lunga è quello tra una finanza trasformata in un’industria a se stante con profitti irragionevoli e un’economia reale fatta di produttori di lavoratori e di commercio. Uno scontro che in tutto l’Occidente sta impoverendo il ceto medio sprofondando i già poveri in un abisso di povertà sempre maggiore  e sempre più intollerabile. È questa la vera grande battaglia del secolo che stiamo vivendo. Sappiamo benissimo che le soluzioni sono di carattere internazionale, non solo europee ma mondiali, ma sappiamo altrettanto bene che un paese come il nostro può mettersi alla testa di questa battaglia contro la povertà con le armi della politica e della democrazia. Se con la vittoria di Renzi svolta deve esserci, è questa, non altra, conoscendo bene quante difficoltà l’intreccio finanza-informazione potrà mettere in campo ma sapendo altrettanto bene che questo tipo di battaglia recluterà masse popolari crescenti in Italia, in Europa e nel mondo. Senza alcuna retorica, Mandela ha lasciato al mondo come eredità la grandezza di una politica che sa difendere insieme libertà, democrazia e sviluppo socialmente sostenibile. Fuori da questi obiettivi, c’è solo l’ascesa di un potere personale che nei tempi moderni è fuggevole come il lampo che dà luce per un secondo per piombare poi di nuovo nell’oscurità. Renzi ha detto che è contro ogni inciucio. Bene, ma deve sapere, e probabilmente lo sa già, che il primo inciucio è dentro il DNA del partito democratico che deve scegliere entro la prossima primavera quando a Roma si terrà il congresso del partito socialista europeo, se il suo partito democratico è un partito socialista di stampo europeo come lo fu il laburismo di Blair e la socialdemocrazia di Schroeder o se è altra cosa. Un ultimo ricordo che è solo un consiglio. Ad un giornalista che gli chiedeva cosa avrebbe fatto se avesse avuto tutti i poteri, uno statista italiano figlio del cattolicesimo politico rispose seraficamente “qualche errore in più”. Lo tenga bene a mente Matteo Renzi nell’esaltante percorso che ha iniziato.

1 Comment on "L’inizio di Renzi tra vendette della politica e una grande occasione storica"

  1. Non credo che Renzi seguirà i consigli, pur arguti e saggi, di Cirino Pomicino. Troppo leader e troppo anglofono per riportare la politica italiana ad un equilibrio più classico e europeo.

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