Non si vincono i referendum con la paura, ma una paura c’è

articolo pubblicato su Il Foglio Quotidiano il 23 novembre 2016

Sembra quasi un crescendo rossiniano lo scontro referendario sul si e sul no con tutto il corredo di insulti e di intolleranze. Renzi ha già riconosciuto l’errore fatto di una forte personalizzazione del quesito, un errore grave suggerito in parte dalla sua giovinezza e in parte dalla crescente convinzione di essere un uomo indispensabile per gli assetti di governo del Paese. In un tempo antico ci insegnarono che i cimiteri sono pieni di uomini indispensabili. Renzi, però, si è rapidamente accorto dell’errore della personalizzazione ed ha tentato di fare marcia indietro anche se molti buoi erano già scappati dalla stalla. Nelle ultime settimane, però, si è affacciato un altro tentativo destabilizzante, quello di incutere paura al corpo elettorale, un tentativo più insinuante e chiaramente mendace. Un tentativo che nasce da ambienti finanziari internazionali che strumentalizzano anche i tradizionali bollettini della Banca d’Italia che altro non dicono che in occasioni di tornate elettorali la volatilità dei mercati finanziari aumenta notevolmente.  Naturalmente su questa banale considerazione, che non ha certo impedito ad esempio a Trump di vincere la corsa presidenziale, si è innescata una ulteriore deformazione del messaggio che lega eventuali turbolenze finanziarie alla vittoria del No. Diversi giornalisti hanno chiesto a Renzi di rassicurare i mercati, ma Renzi con la solita abilità ha dribblato la risposta. E la cosa dispiace. Questi, dunque, i fatti per come sono avvenuti negli ultimi giorni. A questo punto il presidente del consiglio che è anche segretario del partito di maggioranza relativa non può perdere altro tempo per rassicurare i mercati spiegando che l’Italia ha un sistema politico tale da non creare mai un vuoto politico. Anzi, ad impedire che questo vuoto si formi c’è la garanzia del maggior partito del paese che non si sottrarrà all’onere del governo quale che sia il responso referendario. Nelle democrazie parlamentari quest’obbligo cade tutto sulle spalle del maggior partito del paese che non può mai ritirarsi sull’Aventino del disimpegno governativo come possono fare tutti gli altri. Se lo facesse, infatti, segnerebbe l’inizio della propria fine. Fu così in mille altre occasioni nella nostra vita repubblicana a cominciare da quel fatidico 1976 in cui tutti i partiti laici e socialisti, per ragioni diverse, non volevano essere impegnati nel governo di un paese uscito da poco da uno scontro elettorale ed in piena crisi economica e democratica senza precedenti (le BR che sparavano e ammazzavano). La DC seppe resistere alla tentazione della fuga dalla responsabilità del governo e così tutti quelli che non volevano governare chiesero alla DC di farlo in rappresentanza di tutti. Fu così che la DC si presentò alla Camera chiedendo a tutti, dopo aver interloquito a 360 gradi, la “non sfiducia”. E l’Italia in 3 anni ne uscì a testa alta perdendo, in quegli anni, il suo presidente Aldo Moro ucciso dal fuoco brigatista. Se ricordiamo questo episodio è sol perché in democrazia il maggior partito è esso garante di un equilibrio del sistema politico e di una tutela a favore di tutti, anche di quelli che non lo hanno votato. Si chiama senso dello Stato ed oggi più che mai siamo convinti che il PD ed il suo segretario sapranno difendere l’intero paese dalle insidie che colpirebbero tutti recuperando così quel senso di orgoglio che un grande partito di massa deve possedere per essere tale. Prenda, Renzi, il toro per le corna e tra le sue tante esternazioni, oggi e non domani si eriga subito a difendere l’intero paese garantendo con la forza del suo partito, tranquillità e governabilità ai mercati finanziari quale che sia il risultato di una battaglia democratica. Se così farà forse avremo scoperto un altro Renzi.

paolocirinopomicino@gmail.com

2 Comments on "Non si vincono i referendum con la paura, ma una paura c’è"

  1. Il suo articolo mi piace e lo condivido rituittandolo.Grazie!

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