Dramma elettorale

articolo pubblicato su Il Foglio Quotidiano l’8 marzo 2018

Una repubblica nata dall’azione di un gruppo di inquirenti aiutati da diverse manine nazionali ed internazionali come abbiamo documentato più volte senza mai essere smentiti non poteva che finire travolta dalla risata tragica di un comico. E senza mancare di rispetto a chicchessia e meno che meno agli elettori, è quel che è accaduto sotto i colpi di maglio di onde anomale fatte di speranza e di disperazione spesso uguali e contrarie al Sud come al Nord del paese. I risultati elettorali altro non sono, infatti, che la chiusura di un ciclo politico fatto di approssimazione, di spunti onirici e di comportamenti arroganti, di insulti e di delegittimazione quotidiana delle istituzioni nel mentre veniva reclutata una classe dirigente in larga parte con il criterio della cortigianeria produttrice storicamente di mediocrità non sempre aurea. Tutto ciò ha creato una miscela esplosiva che è deflagrata terremotando un sistema politico fragile sterilizzato da ogni cultura politica di stampo europeo. Chi vuole comprendere l’esatto portata di quanto è accaduto non può non partire che dal tragico biennio del 1992-94 durante il quale è sembrato a tutti che sotto il crollo del muro di Berlino fossero rimaste le culture democratiche dell’occidente e non il comunismo internazionale con le sue tragedie e le sue vittime. In questi 25 anni abbiamo visto di tutto e di più a cominciare da quel trasformismo parlamentare che fu già una piaga dello Stato liberale prefascista e scomparso nei primi quarant’anni della repubblica fino al l’insorgere di un pensiero unico in economia che mentre trovava in altri Stati europei un contenimento ed una correzione, in Italia produceva, nel silenzio complice di tanti, il saccheggio del paese. Ed intanto cresceva il mostro del capitalismo finanziario che alimentava ricchezze elitarie e nuove povertà di massa che impattavano sulla vita di buona parte del ceto medio oltre che, naturalmente, dei ceti più deboli. L’eccessivo uso finanziario del capitale rispetto al suo uso produttivo affannò l’economia reale e indebolì pesantemente la qualità della vita di milioni di italiani. Il tutto in uno scenario dove la politica perdeva ogni giorno il suo primato nel mentre cresceva la sua personalizzazione. Insomma farse e tragedie si rincorrevano l’un l’altra nel mentre una politica smarrita consegnava per 25 lunghi anni a banchieri centrali e banchieri d’affari la guida dell’economia dimenticando l’insegnamento di Clemenceau sui generali e la guerra e quel che disse più recentemente Guido Carli a Giulio Andreotti quando riteneva che il governo dei tecnici fosse o una illusione o una eversione. In questo terreno di coltura non potevano che nascere e vincere movimenti e partiti a forte connotazione autoritaria che fuggivano la realtà possibile rifugiandosi spesso in visioni fantastiche e in un disprezzo insultante verso tutto e tutti in un circuito perverso fatto di rabbia, di miseria, di sensazione di impotenza mentre la gogna mediatica lasciava ogni giorno sul terreno politico morti e feriti. La vittoria di Grillo e Salvini ha questa origine con una differenza non di poco conto. La lega nacque sventolando il cappio e stava finendo con i diamanti di Belsito sino a quando l’intuizione di Salvini non gli ha fatto cambiare pelle “nazionalizzando” il partito e scrollandosi di dosso inutili e ridicole liturgie pagane. La fortuna della Lega fu che era una minoranza che fu incapsulata da Berlusconi ed avviata ad una seria attività amministrativa che nelle regioni più avanzate ha dato nel tempo i suoi frutti politici ed economici diluendo sempre più il carattere rissoso della fase iniziale ma non intaccando la struttura autoritaria del partito. Il movimento di Grillo, invece, non ha avuto questa fortuna e nel lento sgretolarsi della cosiddetta politica tradizionale è subito diventata maggioranza in grandi città mostrando appieno i suoi limiti ed oggi lo è diventata anche nel parlamento della repubblica. Ecco dunque il dramma con il quale dobbiamo misurarci. Due partiti con modelli entrambi autoritari di cui uno ha già una classe dirigente, la Lega, e l’altro ha dovuto fare la pesca a strascico per trovare candidati quasi tutti inesperti tanto che lo stesso giovane “capo politico” nel presentare il suo possibile governo ne ha scelto solo uno o due chiedendo aiuto poi alla “notissima” università di Malta. Non ci sfugge che il giovane Di Maio non urla e tenta di periodare con serenità e “aplomb” per darsi quel tono ministeriale che il suo movimento non ha avuto il tempo di acquisire ma resta il fatto che la forte personalizzazione dei partiti e spesso i loro modelli autoritari impediscono di ricercare quel minimo comune denominatore in grado nelle democrazie parlamentari di dare al paese un governo serio ed autorevole. Quel che accadrà forse è già scritto. Entrambi i vincitori sono tanto deboli da non poter governare da soli ma tanto forti per impedire che l’altro possa governare. E qui si inserisce il destino del PD, forse la più grande anomalia della seconda repubblica frutto di una scelta sbagliata che voleva mescolare due grandi culture politiche, quella socialista e quella democristiana, ed è finita per non rappresentare né gli uni né gli altri. In epoche non sospette dicemmo a due leader come Franco Marini e Massimo D’Alema che se si fossero separati avrebbero governato da alleati per venti anni mentre se rimanevano in un solo partito sarebbero morti abbracciati. Così avvenne e così dovrà concludersi. Hanno ragione quelli che dicono che è finita la seconda repubblica ma sbaglia per entusiasmo Di Maio quando annuncia la nascita della terza repubblica. La politica è una cosa maledettamente seria e dovremo aspettarci una lunga liturgia ed un lungo periodo di stallo la cui conclusione più probabile sarà un governo del presidente che potrà essere sostenuto da quelli che dimostreranno senso dello Stato e responsabilità nazionale in attesa che il sistema politico possa scomporsi e ricomporsi in maniera diversa. In questo possibile processo forse si può cominciare a pensare di abbandonare la democrazia parlamentare che presuppone una vitalità culturale e politica dei partiti smarrita ormai da tempo riscoprendo quelle virtù democratiche dei modelli presidenziali peraltro già consolidati nei comuni e nelle Regioni oltre che in alcuni grandi paesi.

paolocirinopomicino@gmail.com

1 Comment on "Dramma elettorale"

  1. Come sempre un’analisi lucida, seria e competente che facciamo nostra e che ci onoriamo di pubblicare sulle nostre pagine.

Rispondi a freeskipper italia Annulla risposta

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato.


*