Storie di ordinaria follia

Sono stato coinvolto nella cosiddetta tangentopoli con una prima richiesta di autorizzazione a procedere inviata dalla Procura di Foggia alla Camera dei deputati il 14 febbraio 1993, giorno di San Valentino. All’iniziale richiesta di autorizzazione  a procedere, allora ancora in vigore, si aggiunse anche una richiesta d’arresto per un presunto reato di corruzione su opere pubbliche a me totalmente ignote. Il giorno prima che l’aula di Montecitorio si esprimesse, l’onorevole Giovanni Correnti del gruppo comunista mi chiamò   per dirmi che avrebbe chiesto all’aula di non concedere nessuna delle due autorizzazioni. Avendo studiato tutte le carte inviate dalla Procura non poteva fare altrimenti, disse l’on. Correnti, perché, diversamente, “la mattina quando si faceva la barba guardandosi nello specchio si sarebbe dovuto sputare in faccia”. L’aula respinse a larghissima maggioranza le richieste della Procura di Foggia. Qualche mese dopo fu eliminata l’immunità parlamentare.  Fui rinviato a giudizio per due distinte accuse nel 1994. Fui prosciolto, insieme al mio presunto correo, il notaio Dino Giuliani, 12 anni dopo. Una storia emblematica di quel tempo.

Dopo di allora  fui travolto da una serie infinita  di avvisi di garanzia ( alla fine farò ben 42 processi). La sola procura di Napoli ne istruì ben 16 di cui 14 rinvii a giudizio dai quali  ne uscii sempre assolto. In due occasioni vi fu la prescrizione, il processo Zambeletti e il processo Punzo.

Nel primo caso  rinunciai alla prescrizione ma il giudice per le indagini preliminari, tal Marotta, se ne infischiò e applicò la prescrizione.

Per il secondo caso  fui addirittura arrestato nell’ottobre del 1995 dal tribunale dei ministri presieduto da tal Occhiofino Marco.  (leggere  le pagine  233-234 e successive del libro di Geronimo  “Strettamente riservato”) sotto la voce ” Libri” del blog.

Dopo 4 anni lo stesso tribunale dei ministri mi assolse  dall’accusa di estorsione “perché il fatto non sussiste” e chiese al giudice per l’udienza preliminare il rinvio a giudizio per l’altro capo di accusa ( la corruzione) sempre sulla base delle dichiarazioni del signor Gianni Punzo, mio amico trentennale , dichiarazioni ritenute false per la prima accusa ma vere per la seconda. L’udienza preliminare fu tenuta nella primavera del 2008, cioè 13 anni dopo il mio arresto . Dopo due richieste di non luogo a procedere firmate dal capo della Procura Gian Domenico Lepore, in udienza preliminare il sostituto di turno chiese, invece, il rinvio a giudizio e il giudice Modestino (nomen omen) applicò la prescrizione senza che nessuno l’avesse richiesta.

Da quest’ultima vicenda due insegnamenti: l’enorme durata dei processi non più tollerabile e un probabile accordo, in udienza, tra il procuratore di turno, che cambiò il precedente parere del suo ufficio del “non luogo a procedere”, e il Gup che sentenziò la prescrizione dichiarando che questo non testimoniava assolutamente la mia  responsabilità .

Questo modo di fare tolse la vergogna dalla faccia di quel tal Occhiofino, presidente del Tribunale dei ministri, che ordinò il mio arresto  nel lontano 1995 e della Procura senza neanche sentire quei testimoni che io stesso  avevo indicato per tempo. I simpatici giustizialisti nostrani invece di indignarsi per l’arresto di un innocente (avete mai visto un talk-show sugli innocenti arrestati?)mi hanno sempre rinfacciato  il fatto che non avessi rinunciato alla prescrizione. Sull’argomento non solo c’era il precedente del giudice Marotta che se ne infischiò della rinuncia alla prescrizione nel processo Zambeletti applicandola sempre per lo stesso motivo, quello cioè di non svergognare la Procura con un’altra assoluzione, ma c’era anche un’altra considerazione da fare. Se per l’udienza preliminare nel processo Punzo erano trascorsi 13 anni, quanti ne sarebbero trascorsi per fare il solo processo di primo grado? Com’è noto nell’aprile del 2007  fui sottoposto a trapianto cardiaco e certo non potevo avere, nella primavera del 2008, come ancora non ho, la certezza del tempo che mi rimaneva da vivere e di qui l’accettazione di quella prescrizione applicata dal gup solo per difendere l’onore (?!?!) del Tribunale dei ministri e del suo presidente Occhiofino.

L’unica condanna da me ricevuta  fu per il finanziamento illecito sulla vicenda Enimont nel processo in cui  furono condannati, per lo stesso reato,   Bossi, La Malfa, Martelli ed una serie di altri personaggi.  Il dispositivo della sentenza escluse ogni ipotesi di corruzione così come la esclusero tutti i 42 processi.

La procura di Milano mi  aveva poi mosso  diverse altre accuse totalmente infondate tra cui la corruzione per la vicenda Enimont che lo stesso Tribunale di Milano aveva già escluso nella sentenza di condanna per finanziamento illecito (illecito solo perché il finanziamento non era stato dichiarato alle Camere).

Nel 2002 la procura di Milano mi chiese  di patteggiare tutte le altre accuse non ancora sottoposte al vaglio di un giudice spiegandomi che patteggiare non era l’accettazione di una mia responsabilità. Per tale patteggiamento su 7 accuse la procura  mi propose  60  giorni (sessanta!!!) di reclusione. Anche allora, reduce da un altro intervento al cuore presso il Brompton Hospital di Londra nel 1997 e già iscritto nella lista per trapianto cardiaco (arriverà poi  nel 2007) accettai il patteggiamento. La confusione fu tale che si patteggiò anche l’accusa di corruzione per la vicenda Enimont dalla quale  era stato già assolto nel processo relativo.

Un anno dopo, nel 2003,  insieme a Giulio Andreotti, andai a Milano per ricordare Guido Carli nel decennale della sua scomparsa. Terminata la commemorazione mentre mi avviavo per andare in aeroporto  fui avvicinato da un signore alto e robusto che mi chiese “Ministro, si ricorda di me?”. Io, un pò imbarazzato, mi scusai perché non ricordavo chi fosse e dove lo avessi conosciuto. Il signore che mi aveva fermato mi rispose seraficamente “Ministro, non si scusi, noi non ci conosciamo eppure secondo il dottor di Pietro io le avrei dato 400 milioni. Per uscire dal carcere ho dovuto patteggiare l’accusa infondata e sono io a chiederle scusa. Mi presento, sono Roberto Araldi, già vice presidente della Padana assicurazione del gruppo Eni”.

Ecco uno spaccato della tangentopoli italiana ed ecco una delle accuse che avevo patteggiato e per le quali i grandi moralisti italiani, televisivi, accademici e politici, mi attaccano ancora oggi per non aver rifiutato il patteggiamento.

 Il 15 marzo del 2011 il tribunale di Roma con apposita ordinanza mi  ha riabilitato e sono stato l’ unico politico ad aver chiesto la completa riabilitazione.