“L’archivio segreto, Craxi, il Papa: vi racconto la verità su Andreotti”

Guardando retrospettivamente, come è stato stare a fianco di uno degli uomini più potenti d’Italia come Giulio Andreotti?

Fu una vicinanza lunga e iniziata in tempi non sospetti, a metà degli anni ’70, rafforzata nel corso del tempo e poi diventata stringente nel periodo in cui siamo stati al governo insieme. Prima nel governo De Mita con Giulio agli Esteri e io alla Funzione Pubblica, poi con Giulio alla presidenza del Consiglio e io al Bilancio. E naturalmente fu un’attività molto forte, personale e con grande libertà di pensiero. Spesso avevamo anche opinioni diverse ma sempre nel massimo rispetto. È stata un’esperienza di grande qualità e ulteriormente formativa.

Andreotti secondo Lei fu più temuto o “venerato”?

Entrambe le cose. Venerato forse il termine è un po’ esagerato, perché quel termine lo si usa per la divinità, però fu molto esaltato, glorificato per la sua capacità politica. Temuto forse anche ma era più il frutto dell’aneddotica (non a caso veniva definito Belzebù) che non da fatti reali. Anzi, spesso nel partito Andreotti fu vittima di accordi che lo escludevano.

Eppure si narra che custodisse un ampio archivio segreto.

Sciocchezze. Queste carte alla lunga si sono dimostrate inesistenti perché l’intero archivio è stato dato all’Istituto Sturzo e naturalmente non c’è nulla di segreto che non possa essere visto, commentato e pubblicato. Anzi, posso anche raccontare un aneddoto per rendere chiara l’idea. Nell’ottobre del 1992 organizzai a casa il celebre ‘caminetto della Democrazia Cristiana’ con Martinazzoli, Forlani, Gava, Andreotti e De Mita. Ciriaco mi continuava a dire riservatamente – mentre spiegavo che con l’attacco che stavamo subendo per i finanziamenti ai partiti non dichiarati la DC sarebbe stata tranquillamente seppellita, – di spingere Andreotti a pubblicare le carte che teneva per colpire il Partito Comunista. Carte inesistenti. Peraltro che il Partito Comunista ricevesse contributi di cui la magistratura faceva finta di non accorgersene questo era noto a tutti, anche a Di Pietro.

Come era strutturata la celebre corrente Primavera? È vero che Lei era uno dei grandi signori di Napoli?

La corrente a Napoli l’abbiamo fondata Pino Amato, un consigliere regionale poi ucciso dalle BR, io e Scotti. Negli anni successivi Scotti che aveva un temperamento inquieto per cui cambio nel corso degli anni tutte le correnti della Democrazia Cristiana, lasciò la componente andreottiana nel 1983 che passò sotto la mia guida esclusiva. Nel 1976 quando entrai in Parlamento la corrente andreottiana da poco aveva cambiato nome ed era al 5%. Andreotti e Moro avevano il 5% e 6%. In quell’anno complesso e difficile in cui cominciò la solidarietà nazionale, la DC chiamo i capi corrente più piccoli, Moro al partito e Andreotti al governo a testimonianza come nella prima repubblica non valeva solo “la forza” ma anche la capacità politica con riguardo all’interesse del paese e dello stesso partito. Dopo quegli anni arrivarono un po’ di giovani deputati da tutta Italia che in qualche maniera fecero col tempo riferimento a me ed alla fine degli anni ’80 eravamo al 20% del partito e avemmo un ruolo decisivo nel pregare De Mita di lasciare la segreteria del partito e mettere Forlani vincendo il congresso del 1989 con un’alleanza tra Andreotti, Forlani e Donat Cattin, la vera sinistra del partito.

Andreotti alla fine non divenne mai segretario della DC.

Andreotti non era un uomo di partito ma di governo. E questa cosa è stata la grande fortuna della DC. Nella Democrazia Cristiana non c’era , come nella Seconda Repubblica, una sola persona che la faceva da padrone facendo contestualmente il segretario del partito e il presidente del Consiglio. Nella nostra esperienza erano ruoli decisamente distinti. Questo avveniva anche nei partiti laici, socialisti… quando Craxi andò a Palazzo Chigi lasciò il partito al reggente Martelli. La DC aveva un folto gruppo dirigente per cui per ogni ruolo c’era la possibilità di scegliere.

Dove risiedeva la capacità o metodo andreottiano nello stare sempre ai vertici del potere?

Questo in parte è legato alla storia della DC, la prima linea del gruppo dirigente ha finito per avere lunghi anni di esperienza governativa. Andreotti, vissuto grazie a Dio a lungo, ha cumulato ani di governo ma non ha mai avuto un ruolo interno al partito. . A 27 anni era già sottosegretario alla presidenza del Consiglio e quando smise di fare il presidente del consiglio aveva già 76 anni. Faccia lei il conto. Andreotti era un uomo delle istituzioni prima ancora che di partito.

Questo potere alla fine lo ha logorato? È stato coinvolto nei maggiori scandali italiani.

Non c’è dubbio che con una lunga esperienza di governo alle spalle gli avversari siano stati spinti a tentare di criminalizzarlo, lui è la stessa DC. Andreotti aveva una vita privata più che normale ed era difficile attaccarlo su quella linea ed allora lentamente si è tentato di mettere in giro presunti suoi rapporti con la mafia siciliana, con logge massoniche deviate e quant’altro. La verità che tutti i grandi poteri, da quelli economico-finanziari alla massoneria non amavano Andreotti e sponsorizzavano altri leader. Scalfari, ad esempio, amo e difese a lungo de Mita proprio contro Andreotti e Craxi.

Alcide De Gasperi disse: “Andreotti è un ragazzo talmente capace a tutto che può diventare capace di tutto”.

Capace di tutto sì. Bisogna vedere come lo si legge… se con malizia o meno. Andreotti ha sventato mille insidie portate alla democrazia italiana a cominciare dal golpe Borghese e a privilegiato la trasparenza. Ricordo ad esempio le critiche subite per aver dato corso alla pubblicazione degli elenchi di Gladio.

I rapporti con la Santa Sede?

Il rapporto tra la Santa Sede e Andreotti fu strettissimo perché in realtà Giulio negli ultimi anni del fascismo era vissuto all’interno del Vaticano. Andreotti era orfano di padre fin dalla giovanissima età, quindi aveva anche problemi di lavoro e nel Vaticano aveva trovato un’opportunità. Inoltre aveva una religiosità molto alta, così come Moro e la grande maggioranza della DC, una religiosità mai ostentata. Andreotti non andava in giro a far vedere il rosario, ma ogni mattina riservatamente andava a messa e faceva la comunione.

Con quale Papa ebbe maggiore intesa?

Paolo VI. Si erano conosciuti ai tempi della FUCI, da giovanissimi. E poi fu molto apprezzato e benedetto pubblicamente da Giovanni Paolo II.

I politici con i quali ebbe maggiore simpatia o antipatia nella DC?

Il politico democristiano con cui non andava molto d’accordo era Fanfani. Ed era ricambiato. Infatti in ogni governo Andreotti non c’era Fanfani e viceversa. Con De Mita ha avuto lunghi periodi di gelo, perché De Mita, come ho già detto, fu catturato per lungo periodo dal gruppo di potere di La Repubblica. Però poi la cosa si risolse positivamente perché quando De Mita divenne presidente del Consiglio nominò Andreotti ministro degli Esteri e gli fu di grandissimo aiuto.

Con Nenni?

Pesò enormemente quel macigno del lungo periodo del frontismo che aveva catturato Nenni. Andreotti come tutta la DC guardò con interesse il famoso incontro di Pralognan tra Saragat e Nenni per favorire la rottura del fronte popolare e lentamente inserire i socialisti nell’area del governo. C’era un punto di diversità sui tempi tra Andreotti da un lato e Moro e Fanfani dall’altro che portò poi Andreotti nel convegno di Napoli del ’61 a votare contro l’apertura ai socialisti perché la riteneva un po’ troppo precipitosa.

E con Craxi?

Un ottimo rapporto. Anche se c’era una sorta di pregiudizio. Infatti Craxi diceva che “Andreotti era una vecchia volpe che prima o poi sarebbe finita in pellicceria”. Ma erano battute che denotavano la differenza di temperamento. Ma poi sotto il profilo dell’azione di governo si rafforzarono reciprocamente. La vicenda di Sigonella sancì il comune senso della sovranità nazionale e dell’autonomia dell’Italia.

Fu dopo Sigonella che gli americani scaricarono Andreotti e Craxi?

La scelta di far circondare i marines dai nostri carabinieri non fu dimenticata dall’intelligence americana e anni dopo Craxi divenne un corrotto e Andreotti un mafioso.

L’attentato a Falcone sbarrò di fatto la strada del Quirinale ad Andreotti?

Questo fu utilizzato dagli avversari per impedire ad Andreotti di fare il presidente della Repubblica. La verità è che nonostante i miei personali tentativi di trovare un intesa per tempo in un incontro a tre tra Forlani, io e Andreotti ognuno diceva che se c’era l’altro lui si ritirava. In realtà erano candidati entrambi e gli errori di metodo fatti da Forlani portarono al disastro. L’attentato – dopo giorni di stallo – costrinse a scegliere tra uno dei due presidenti delle Camere. Sono convinto, però, che se Forlani non si fosse ritirato dopo la seconda votazione in cui mancarono solo 28 voti sarebbe stato lui a essere eletto presidente della Repubblica.

Come definirebbe Andreotti?

Un uomo di governo che aveva l’amore per la battuta anche quando quelle battute potevano creare qualche problema.

Moriremo tutti democristiani?

Il vero problema è che noi abbiamo sempre sostenuto il contrario e cioè che avremmo dovuto vivere tutti come democristiani. Oggi siamo tutti avvolti da una soffocante mediocrità.

Da “Il Giornale” del 16 Novembre 2021

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