L’accordo Ue può essere dannoso

L’accordo siglato l’altra sera a Bruxelles tra i capi di Stato e di governo è un passo decisivo per intraprendere un percorso diverso e meno affannato dell’Europa rispetto agli ultimi anni. Diverso perché si rafforza la governance dell’ Europa a 27 nonostante l’ultimo accordo non sia stato firmato dalla Gran Bretagna e dalla Repubblica Ceca  testimoniando, così, che il processo di unificazione economica e politica dell’Europa può anche procedere a “scatti“ senza rimanere intrappolato nella palude dell’immobilismo. Politicamente, dunque, un successo, economicamente un po’ meno anche se non ci sfugge il risultato ottenuto per l’Italia nella riduzione del debito calcolata non solo su quello pubblico ma anche su quello privato. In soldoni si tratta di correggere di 1 punto di pil all’anno ( 15 miliardi di euro). Il nostro scetticismo, però, sta nella mitologia degli ultimi tempi sul pareggio di bilancio mettendo così sullo stesso piano spesa corrente e spesa in conto capitale. La camicia di forza non è mai una scelta intelligente né per la politica né per l’economia. Avremmo capito, infatti, il pareggio di bilancio corrente in una Europa che sta già con un piede nella recessione lasciando una maggiore libertà di spesa per investimenti. In alternativa avremmo capito che la scelta “rigorista” di un pareggio di bilancio complessivo fosse stata accompagnata dal varo di eurobond destinati esclusivamente agli investimenti pubblici a scala europea, capaci cioè di essere un  moltiplicatore sul terreno della crescita e su quello delle  competitività del “contesto” che tanta importanza ha oggi nel confronto con le grandi aree economiche del pianeta. La stessa entusiastica conferenza stampa del nostro presidente del consiglio giustamente felice per il rilancio del ruolo e del contributo dell’Italia, è stata molto generica sul terreno della crescita economica. Parlare dell’occupazione giovanile e del finanziamento alle piccole  e medie imprese come fronte avanzato nella battaglia per uno sviluppo più forte e duraturo è un titolo e una speranza ma non ancora una politica certa e definita. Alla stessa maniera il completamento del mercato interno come fonte di crescita stabile è una giusta visione a condizione che si conoscano i limiti del suo impatto sull’economia reale in un mondo globalizzato e si abbiano presenti gli ostacoli antichi che paesi come Germania e Francia frappongono alle liberalizzazioni in settori chiave come quelle dell’energia e del trasporto. L’Italia non può continuare in quella sciagurata politica nata agli albori della seconda repubblica fatta di liberalizzazioni e di privatizzazioni a fronte di politiche esattamente contrarie perseguite da Francia e Germania. Finanche nella crisi ultima del sistema bancario internazionale Francia, Germania e Gran Bretagna hanno dato alle banche nazionali risorse per oltre mille miliardi di euro a fronte delle timidezze nel salvare uno Stato sovrano come la Grecia che ne richiedeva 130 di miliardi. Addirittura nella patria del liberismo  ( Gran Bretagna e Olanda) abbiamo visto nazionalizzare alcuni istituti di credito così come abbiamo visto confermato e consolidato il ruolo pubblico nell’economia in Francia e in Germania nel mentre lo Stato italiano, sotto la spinta di un pensiero debole e spesso appaltato,  si ritirava dagli asset strategici per un paese consentendo, ad esempio, alla francese Edison di diventare il secondo produttore di elettricità in Italia mentre le sue barriere nazionali restavano chiuse. Investimenti pubblici e reciprocità di apertura dei mercati, dunque, sono fattori essenziali per riprendere un tasso di crescita sufficiente all’interno della comunità europea. Lasciare gli Stati membri solo in balia di politiche di bilancio restrittive non solo farà implodere la coesione sociale del nostro continente ma sarà la mina a tempo sotto la moneta  unica  con tutto quel che ne consegue. La speranza è che questa consapevolezza si diffonda e si trasformi in azioni concrete visto che i mercati guardano essenzialmente alla crescita  della nostra economia più ancora che al debito. Ed infine un’ultima annotazione. Nell’accordo dell’altro ieri manca qualunque accenno ad una diversa e più severa disciplina dei mercati finanziari quasi che i leader europei non conoscessero  o non fossero avvertiti dei danni che il capitalismo finanziario, sempre più ricco e più potente, sta facendo all’economia reale. E questo non è un buon segno.

Pubblicato il 01-02-2012 su “Il Tempo”

 

Be the first to comment on "L’accordo Ue può essere dannoso"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato.


*