Non si vive di solo spread

Tutti fanno finta di niente e l’attenzione di tutti è rivolta agli scandali da osteria della Lega Nord o del tesoriere della Margherita nel mentre avanza nel paese uno tsunami sociale non di poco conto. Ci riferiamo alla recessione in atto di gran lunga più forte di quel che si dice  e il doppio (e forse più) di quel che dirà il governo nel prossimo documento finanziario. Infatti se va bene la recessione supererà il 3% con tutto quel che ne deriva in termini di occupazione con la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Una recessione che arriva dopo 15 anni di bassa crescita in un paese che dal 1995 non è stato più manutenuto con i disastri conseguenti  nelle Ferrovie dello Stato, nell’assetto idrogeologico del territorio, nella depurazione  e nello smaltimento dei rifiuti, nelle strutture ospedaliere e via di questo passo. E, spiace dirlo, il governo è ancora convinto che le presunte liberalizzazioni fatte, e sempre più presunte, e la riforma del mercato del lavoro solleciteranno la crescita ed il lavoro che non ci sono. Non sappiamo se partiti e governo ci sono o ci fanno, come si suol dire popolarescamente. Abbiamo tosato famiglie e imprese sino all’inverosimile, anzi sino a mettere 20 centesimi su ogni litro di benzina per finanziare il fondo unico dello spettacolo che andava finanziato in altra maniera senza scaricare effetti inflazionistici che riducono ancora di più la capacità di acquisto delle famiglie e aumentano i costi energetici per le imprese. Abbiamo portato l’età pensionabile a 67 anni ( cosa necessaria), abbiamo aumentato l’iva e abbiamo tassato ogni casa, anche quelle popolari, possedute da persone con redditi bassi. Abbiamo insomma chiesto sacrifici inenarrabili a chi già stentava nel vivere e nella certezza del posto del lavoro con un contrasto stridente con quanti non hanno avuto, dal governo e dal parlamento, alcuna richiesta di sacrifici  pur possedendo ricchezze finanziarie e patrimoniali di notevoli dimensioni. E nonostante tutto questo non è apparso un solo barlume di luce che potesse far sperare per il  prossimo futuro in una ripresa della nostra economia. Cinque mesi di governo son pochi ma sono anche tanti per accendere solo la speranza di una crescita ed è bene che partiti e governo se ne rendano conto. All’interno di questo quadro disperante c’è poi un’anomalia tutta italiana, quella del mancato pagamento delle pubbliche amministrazioni dei propri debiti verso i  fornitori. La cifra del debito accumulato verso centinaia di migliaia di piccole e medie imprese viene stimata in circa 70 miliardi di cui poco meno della metà sarebbe sulle spalle delle amministrazioni centrali dello Stato. Un fatto gravissimo che diventa devastante in una fase recessiva e con una difficoltà crescente nell’avere credito. Un fatto, per giunta, ancora più grave se si pensa che la pubblica amministrazione può spendere solo se ha le risorse in bilancio. Se si arriva ad accumulare tanti debiti è segno inequivocabile che è cresciuta a dismisura la spesa corrente che in larghissima parte è automatica e che, per non aumentare il fabbisogno di cassa generatore, a sua volta, di emissione di titoli del debito pubblico, non si pagano gli acquisti di beni e servizi. Uno scenario che più volte in questi anni abbiamo segnalato con preoccupazione e tutti hanno fatto orecchie da mercante  continuando, imperterriti, in  questo comportamento delittuoso. E’ possibile che nei prossimi giorni si avvii quanto meno la certificazione dei debiti da parte delle pubbliche amministrazioni in maniera tale da poter scontare in banca il titolo di credito. Intendiamoci, però, questa sarebbe solo una boccata di ossigeno del tutto insufficiente. C’è bisogno, infatti, di ben altro. C’è bisogno di una forte sollecitazione della domanda aggregata nel breve periodo per preparare, nel medio periodo, una diversa politica dell’offerta centrata sulla ricerca, sull’innovazione, sulle grandi e piccole infrastrutture e quindi sul recupero della competitività dell’intero sistema Italia e sulle fonti di energia rinnovabili che danno occupazione e riducono la dipendenza petrolifera del Paese. Insomma la certezza di politiche orientate ad una crescita virtuosa e non inflazionistica. E’ questa la risposta che i mercati attendono per far scendere l’incubo del nostro tempo, il nuovo mostro dello spread. Chi dovesse pensare che i sondaggi sono “ lo specchio delle brame del popolo” finirebbe dritto per schiantarsi contro il muro delle illusioni mancate perché la piazza esalta ed impicca con la stessa rapidità e la stessa approssimazione.

Pubblicato su “Il Tempo” il 13/04/2012

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