pubblicato su ” Il Foglio” il 29-11-2012
Non vogliamo gettare acqua sul fuoco della passione e dell’entusiasmo ma qualche considerazione politica in più sulle primarie del partito democratico va fatta per evitare che si trasformi, alla lunga, in un happening senza costrutto. Portare ai seggi alcuni milioni di persone per un voto che non si sa se avrà un seguito dopo le elezioni politiche, è, dal punto di vista organizzativo, una cosa straordinaria. Lo scontro Bersani-Renzi da questo aspetto è stato un evento mediatico e democratico, ed è, oggettivamente, un antidoto a quella rassegnazione, anticamera della disperazione per un paese da troppo tempo lasciato a se stesso nel mare tempestoso di una crisi finanziaria ed economica internazionale senza precedenti. Detto questo, però, va anche sottolineato che un voto popolare di quelle dimensioni non risolve nessuno dei nodi che soffocano la sinistra e l’intero sistema politico italiano. Cominciamo dal dato più semplice. Come mai il partito democratico si entusiasma per il voto popolare alle primarie tra i suoi diversi candidati e si oppone, invece, tenacemente alle preferenze nelle elezioni politiche per scegliere i parlamentari? Insomma ciò che si consente al proprio interno non lo si vuole consentire all’universo degli elettori nelle elezioni politiche nazionali. Seconda questione. Le primarie in una democrazia parlamentare non esistono in nessuna parte del mondo. Esse, infatti, sono una prerogativa dei sistemi presidenziali ed avvengono all’interno di un solo partito, ad esempio tra i repubblicani e tra i democratici negli USA e tra i socialisti e tra i gollisti in Francia. Neanche nelle democrazie presidenziali, dunque, ci sono primarie “di coalizione” come quelle che abbiamo visto domenica scorsa. E’ segno, allora, che l’Italia ha una democrazia avanzata rispetto a tutte le altre democrazie occidentali o il nostro sistema politico continua ad essere un’anomalia nel mondo che ci circonda? A nostro giudizio è un’anomalia grave che tenta di nascondere un male terribile che da vent’anni ha contagiato tutti i partiti e cioè quell’ involuzione personale e padronale o, nel migliore dei casi, oligarchica che ha prodotto astensionismo e voto di protesta. Questo cancro personalistico che corrode il nostro sistema politico ha una virulenza talmente alta che finanche i suoi contestatori, Grillo e , nei fatti, Mario Monti, altro non fanno che proporsi come sostituti nello stesso modello personalistico, il primo con il “vaffa” facile e apparentemente rivoluzionario, il secondo con la sobrietà dei bene educati nei circoli finanziari internazionali. In tutti i casi continueremmo ad essere un sistema sostanzialmente autoritario con l’aggiunta di pratiche democraticistiche come quelle delle primarie che sono solo una panacea e non affrontano i nodi di una democrazia rappresentativa stabile e rassicurante. L’ultima questione che emerge con chiarezza dalle primarie del PD è che il mondo di Renzi, aldilà della sua stessa volontà, in larga parte non è il mondo di Bersani e dopo una bella battaglia rifluirà o verso altri lidi o, più probabilmente, verso quell’astensionismo che nel caso specifico non sarà rassegnazione disperata ma solo la conferma dell’assenza di un’offerta politica adeguata perché, ormai da tempo, priva di una cultura di riferimento di stampo europeo. Per parlar chiaro Bersani è un post-comunista saggio e perbene ma pur sempre un post-comunista che ancora oggi oscilla tra un socialismo europeo e un’acquiescenza a quel capitalismo finanziario che tanti guasti sta producendo. Renzi invece, è un quarantenne post-democristiano che mal sopporta l’oppressione di una nomenclatura di stampo antico e che ha dalla sua una voglia sfrenata di cambiamento purchessia con i limiti di una mancata riflessione seria su ciò che sta accadendo nel mondo tra la politica democratica e la finanza. Entrambi non si riconoscono, almeno in Italia, in nessuna delle grandi culture politiche che governano gli Stati membri della comunità europea. Di qui dunque quel nostro giudizio su delle primarie che hanno rappresentato una sorta di “sfiatatoio” della voglia di partecipare dei cittadini ma che politicamente non hanno risolto nulla. Anzi, alla fine della giostra rischiano di innescare anche nel PD una spinta centrifuga tra mondi che possono essere alleati ma difficilmente possono vivere nello stesso partito.
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