Punti di riferimento

articolo pubblicato il 19 settembre 2014 su Il Foglio Quotidiano

L’Europa mai come ora e’ chiamata a confrontarsi con questioni di assoluta gravità che non si vedevano nel vecchio continente dalla costruzione del muro di Berlino e dall’appassionato discorso di John Fitzgerald Kennedy chiuso con la famosa affermazione “io sono un berlinese”. A pensarci bene, forse, le questioni che affannano l’Europa di oggi sono ancora più gravi ed allarmanti di quell’epoca. Allora c’era una crisi politica e diplomatica tra Est ed Ovest in quadro di forze bilanciate che rappresentava la garanzia che difficilmente la situazione poteva sfuggire di mano.C’erano,cioè, punti di riferimento che indicavano un perimetro all’interno del quale si giocava una partita difficile ma prevedibile come poi fu per lunghi anni la guerra fredda. Oggi il contesto in cui si muove l’Europa è molto più drammatica perché aggiunge ad una crisi del processo dell’Unione politica comunitaria la più grave crisi economica dal 1929 ad oggi. E come se non bastasse l’Europa è pressata ai suoi confini orientali da crisi come quella tra l’Ucraina e la Russia di Putin dove s’intrecciano questioni antiche sul terreno politico e culturale e altre più recenti legate all’approvviggionamento energetico. Il tutto in un mondo attraversato dall’orrore e dal terrore del fondamentalismo islamico che ha trovato nelle follie diplomatiche euro-americane di questi ultimi anni il suo maggiore alimento grazie alla destabilizzazione di governi come quelli di Gheddafi, di Mubarak, di Saddam Hussein e di Assad che erano, di fatto, i guardiani migliori del terrorismo islamico in aree del medio-oriente che si reggevano su fragili equilibri. Errori gravi che furono tentati anche tra la fine degli anni ’80 e inizio anni ’90 quando, ad esempio, Khol, Mitterand e Andreotti impedirono a Bush di invadere l’Iraq di Saddam Hussein dopo la liberazione del Kuwait e quando il governo italiano salvo la vita di Gheddafi con una provvidenziale telefonata. Se, dunque, è questo il quadro internazionale politico ed economico in cui oggi l’Europa deve muoversi, distinguere i suoi governi, come fanno alcuni opinionisti, tra falchi e colombe è solo un banale ma pericoloso incitamento al suicidio del vecchio continente. L’ornitologia non ha mai favorito una soluzione politica che, al contrario, ha bisogno di saggezza e di lungimiranza posto che a tutto ciò che sinora abbiamo detto si aggiunge anche una crescita nel cuore dell’Europa di movimenti e partiti contro la costruzione comunitaria e contro l’euro. Come sempre accade nelle lunghe crisi economiche nelle quali non cresce solo la povertà ma crescono anche ricchezze smisurate e disuguaglianze intollerabili, si affacciano tendenze di sfarinamento della coesione delle società nazionali con tutto quel che comporta sulla stabilità dei governi degli Stati membri. La crescita dei partiti antieuropeisti ne è la più evidente testimonianza. Questa consapevolezza deve diventare patrimonio anche del parlamento di Strasburgo che non può rimanere un osservatore neutrale e silente. Ed allora va chiarito subito che la commissione europea deve applicare ciò che il Consiglio ed il Parlamento decidono in chiave legislativa e regolamentare. Le chiavi delle decisioni politiche, insomma, non sono nelle mani di Junker o di Kaitanen ma in quelle del parlamento e dei capi di Stato e di governo. Secondo punto fermo: come giustamente questa volta ha ricordato Matteo Renzi, il patto che lega gli Stati membri è un patto di stabilità e di crescita, e anche quest’ultima ha dei parametri da rispettare a cominciare dai ripetuti avanzi commerciali superiori al 6% come nel caso dei nostri amici tedeschi. O entrambi gli obiettivi, stabilità e crescita, diventano comuni o va bloccata qualunque altra iniziativa che punti a rafforzare l’unione politica europea solo sotto il profilo finanziario come ad esempio l’unione bancaria europea. Non è questa una idea dispettosa e ricattatoria ma solo una banale messa in comune di tutti gli obiettivi e di tutti gli strumenti utili a conseguirli, da quelli finanziari a quelli economici, da quelli fiscali e del mercato del lavoro a quelli della lotta alla evasione fiscale eliminando ogni paradiso fiscale dentro il territorio comunitario senza la quale si concretizzerebbe uno squilibrio di poteri che poco o nulla avrebbe a che fare con la democrazia politica. Renzi deve sapere che questa è la vera sfida in positivo a sostegno della unione politica dell’Europa, ma questa sfida può essere vinta se si ha una forte determinazione politica accompagnata a) da una offensiva di persuasione argomentata e non da comportamenti “bulleschi”che spingono verso la derisione da parte di un certo mondo finanziario intrecciato con la grande informazione; b) da una manovra di bilancio che chiami la grande ricchezza nazionale italiana a concorrere a questo sforzo anche con strumenti incentivanti come quelli descritti più volte con la nostra proposta illustrata da queste colonne e in ripetute trasmissioni televisive. Questa linea, pur con mille distinguo e mille proposte integrative o alternative, deve essere perseguita da tutte le forze politiche come avvenne alla fine degli anni settanta, ancora in piena guerra fredda, quando i grandi partiti di massa seppero battere ad un tempo il terrorismo, l’inflazione a due cifre e l’incombente recessione economica. L’alternativa è il declino preceduto da un disastro economico e sociale.

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