I dubbi su Basilea 3 e la miopia della vigilanza

articolo pubblicato il 2 ottobre 2014 su Il Sole 24 Ore

In preparazione del vertice dei capi di stato e di governo che si terrà a novembre a Brisbane in Australia tra le tante questioni affrontate nella assoluta riservatezza nel G20 finanziario tenutosi a Cairns sempre in Australia, c’è quella di rendere più stabili le grandi istituzioni finanziarie troppo grandi per fallire. Per dirla con parole semplici come rafforzare patrimonialmente le grandi banche (e le grandi assicurazioni) per preservarle da quei fallimenti a go-go registrati tra il 2007-2008 in particolare negli USA e in Gran Bretagna ma anche in alcuni paesi del Nord-Europa. Per il solo fatto che se ne parli, torna l’incubo, per le banche e per l’economia reale, di una possibile Basilea 4 con la richiesta di ulteriori accantonamenti di risorse a fronte di impieghi verso famiglie e imprese. È tempo, forse, che su questo terreno si dicano parole chiare e definitive. Noi apprezziamo le parole del governatore Visco quando sollecita le banche a finanziare famiglie e imprese per dare il là ad una virtuosa ripresa economica ma restiamo davvero basiti quando la disciplina di Basilea 3 impone accantonamenti crescenti a fronte di impegni che non siano stra-garantiti. Anzi, ad essere sinceri, rimaniamo basiti ancor prima, quando, cioè, all’invito del governatore fa riscontro una vigilanza un po’ miope ed oppressiva che per giunta non mette sempre per iscritto eventuali prescrizioni ma esercita una sorta di “chuchuttage” nell’orecchio dei vertici bancari intimandogli non solo severità ma finanche la eliminazione di qualsiasi rischio (salvo, naturalmente, alcune eccezioni). Noi abbiamo sempre difeso le banche dalle accuse demagogiche che tentano di farle passare per il capro espiatorio di tutti i mali perché più volte abbiamo spiegato che anche le banche sono imprese che devono tendere ad un profitto ragionevole e la cui vita non può essere complicata da vincoli burocratici che costano tempo e danaro. Ma nella loro qualità di imprese anch’esse devono assumersi dei rischi che non sempre possono essere valutati sulla base di parametri o di algoritmi perché il rischio bancario è in relazione non solo alla solidità patrimoniale e finanziaria dell’azienda ma anche alla qualità della sua produzione, alle condizioni del mercato relativo ed alla storia personale dell’imprenditore. Un insieme di fattori, cioè, che costituiscono quella fiducia che è un valore importante nel merito creditizio dell’azienda e che non può essere vanificato da quel “chuchotage” sussurrato nell’orecchio dei vertici bancari nè da ridicole norme che elevano gli accantonamenti a livelli tali da rendere davvero difficile erogare il credito in particolare in quelle stagioni dove più forte è l’esigenza di nuova finanza come quella che da diversi anni l’intera Eurozona, ma anche i paesi del G20, stanno vivendo. Ciò che diciamo peraltro dovrebbe essere condiviso dalla stessa BCE posto che le nuove regole dell’Unione bancaria prevedono che in caso di fallimento a pagare dazio siano innanzitutto gli azionisti e gli obbligazionisti (non si capisce perché tutti tacciono quando a questi ultimi si aggiungono i depositanti superiori a 100mila euro), successivamente gli Stati nazionali e solo in terza istanza l’obbligo ricade su quel fondo interbancario europeo che a regime dovrebbe avere 55 miliardi di euro come munizioni da utilizzare all’occorrenza. La crisi bancaria del 2007-2008 ha visto, non a caso, la nazionalizzazione di alcuni grandi banche in via di fallimento o l’acquisto di alcune di queste da parte di altre banche a loro volta destinatarie di risorse pubbliche. In gran parte di questi casi le banche ricapitalizzate con fondi pubblici hanno già restituito agli Stati gli aiuti ricevuti a testimonianza che nel caso di grandi banche il salvatore della patria non può che essere lo Stato. Se questo, dunque, è vero, ed è vero, c’è bisogno di scambiare allora minori accantonamenti bancari legati alla erogazione del credito, con un rafforzamento della dote del fondo interbancario europeo alimentato con un maggior contributo dalle stesse banche. Questo scambio sarebbe virtuoso perché consentirebbe alle banche l’erogazione del credito con minori palpiti e con più serene valutazioni assumendosi anche una parte del rischio di chi fa impresa e dall’altra darebbe concretezza agli stessi inviti dei governatori delle banche centrali di dare credito a famiglie e ad imprese. Se al contrario avanza la tendenza di alcuni personaggi che non sanno pressocchè nulla nè di banca nè di economia reale e pensano di salvare il mondo con norme e regolamenti asfissianti, balleremo sul ciglio di una bolla monetaria e di una crisi bancaria devastante che trascinerà con sè parte rilevante della economia reale.

Be the first to comment on "I dubbi su Basilea 3 e la miopia della vigilanza"

Lascia un commento

Il tuo indirizzo e-mail non sarà pubblicato.


*