articolo pubblicato il 13 giugno 2015 su Il Foglio Quotidiano
In queste ultime settimane segnali sconfortanti arrivano dall’Europa. Sul piano economico, politico e su quello terribile della migrazione biblica dalle coste dell’Africa. Sul piano politico ci hanno colpito due riunioni avvenute a due mesi di distanza. La prima sulla crisi dell’Ucraina tra Putin, il presidente Porosenko e la coppia Merkel-Hollande. La seconda, appena qualche settimana fa, sulla crisi greca tra i vertici europei, il Fondo monetario internazionale, Draghi e la solita coppia Merkel-Hollande. Insomma l’immagine di una Europa fondata sull’asse franco-tedesco. Senza alcuna nostalgia, va ricordato che oltre venti anni fa riunioni di questo genere non avrebbero mai visto l’assenza del presidente del consiglio italiano. La necessaria guida dell’Europa, infatti, vedeva sempre insieme il trio Khol-Mitterrand-Andreotti o Craxi. Da diversi anni il trio non c’è più. La responsabilità, naturalmente, non è di Matteo Renzi quanto piuttosto di una certa confusione politica che in due anni ha visto due governi e due presidenti della Repubblica ma più ancora delle nostre perenni difficoltà economiche sul terreno della crescita e del debito pubblico. Ha ragione il nostro presidente del consiglio quando ricorda che lui guida l’unica sinistra che vince in Europa ma forse sarebbe ora di mettere le cose in chiaro sui dossier più delicati perchè è davvero irritante che la sinistra francese che perde è l’unica che conta in Europa. Sul terreno economico inoltre una ripresa fondata quasi esclusivamente sugli effetti del “quantitative easing” di Mario Draghi (svalutazione dell’euro e alleggerimento dei bilanci bancari e degli Stati sovrani) e della riduzione del petrolio non potrà mai rilanciare investimenti ed occupazione nell’eurozona. Spiace dirlo ma anche in questa occasione c’è una responsabilità prevalente tedesca ed una omissione degli altri Stati membri. Da almeno 4 anni la Germania ha un surplus commerciale intorno al 7% e dimentica quell’obbligo comunitario di una politica di bilancio espansivo per quegli Stati che per tre anni di seguito abbiano un surplus della bilancia dei pagamenti del 6%. Tale obbligo “espansivo” è speculare all’altro obbligo, quello di mantenere il deficit di bilancio entro il 3%. Quest’ultimo è sbandierato in ogni momento e la commissione vigila sugli Stati con occhi di falco, mentre sull’altro obbligo, quello espansivo, nessuno parla quasi fossero tutti intimiditi dalla cancelliera Merkel e dalla forza del suo paese. Così facendo, però, si pongono grandi quantità di esplosivo sotto le fondamenta dell’Unione Europea ribaltando il vecchio concetto del cancelliere Khol che voleva una Germania europeizzata e non certo una Europa germanizzata. Anche su questo terreno crediamo possibile una lungimirante iniziativa di Matteo Renzi che, appunto, ha, dalla sua, la forza di essere quell’unica sinistra che vince. Un’Europa che lascia per strada l’obbligo di convergenza delle politiche di bilancio chiedendo il rispetto puntuale ad alcuni dimenticando quello degli altri non va molto lontano. Alla stessa maniera quella pressione biblica di migranti ai confini del vecchio continente non può essere lasciata al solo sforzo dei paesi di frontiera. Se fossimo vignettisti un’Europa siffatta la disegneremmo con grassi e grossi finanzieri seduti sulla Torre Eiffel, sul Colosseo e sulla porta di Brandeburgo mentre tutto intorno macerie e negritudine sofferente. Non è questa l’Europa comunitaria nata da una grande intuizione di statisti del calibro di Adenauer, Shuman e De Gasperi e mai come quest’anno in cui si celebra l’inizio della grande Guerra si apprezza il valore di quella iniziativa che, nata nel 1951 con la comunità del carbone e dell’acciaio (CECA), prese l’avvio nel 1957 con i patti di Roma tra i 6 paesi fondatori (Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo). Senza fare inutili allarmismi, il virus disgregatore della comunità europea sta lavorando da tempo e mai come ora l’Europa ha bisogno di leader forti e lungimiranti in grado di rilanciare politicamente ed economicamente la costruzione comunitaria. Renzi può concorrere in maniera significativa a questo rilancio e deve piegare a questo obiettivo l’intero partito ricomponendolo e chiamando alla sua guida tutte le anime. La storia ci insegna che un uomo solo al comando non ha vita lunga e che non darà mai al paese quello che potrebbe dare con una leadership autorevole rafforzata da una collegialità coesa ed operosa. È questa la vera sfida che Renzi può e deve vincere.
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