Se la politica non frena la finanza speculativa, lo farà la rabbia popolare

riportiamo all’attenzione l’articolo pubblicato su ” Il Foglio” il 24 luglio 2012

Diventa difficile comprendere il giudizio positivo sull’azione del governo Monti e nel contempo ignorare i responsabili delle turbolenze finanziarie in atto che rischiano di mettere in ginocchio anche paesi come la Spagna e l’Italia. Molti accreditano la responsabilità di questo stato di cose che dura da un anno e che ieri ha fatto volare lo spread ad oltre 520 punti facendo crollare di nuovo le borse europee ai debiti sovrani e ai ritardi e  alle incertezze dell’Unione europea. E’ vero  che bisogna continuare nel risanamento delle finanze pubbliche e che una maggiore integrazione europea  bancaria, fiscale e politica sarebbe, forse, in condizione di porre un freno ai mercati impazziti. Ma qui casca l’asino. Chi sono “ i mercati”, quali sono le volontà che guidano quella che più volte è stata definita la speculazione e quali responsabilità  esse hanno avuto nel creare la crisi finanziaria che, nata nel 2007 negli Usa, ha travolto l’intero pianeta come uno tsunami? Per dirla in maniera ancora più precisa, quali sono i motivi per cui per la prima volta nella storia del mondo, a generare una grave depressione economica non è l’economia reale ma la finanza internazionale che scarica da anni sulle popolazioni e sulle rispettive economie i propri intenti speculativi e i suoi comportamenti spesso dolosi? Non è una condanna moralistica la nostra ma solo il tentativo di capire perché la politica europea e quella del G20 abbia consentito in venti anni la crescita di quel  capitalismo finanziario selvaggio  che sta ammazzando l’economia di mercato e che mette in discussione il modello democratico dell’Occidente. Non a caso, infatti, nell’Est del pianeta  a quel capitalismo finanziario è stata messa la mordacchia dopo che nel passato la stessa finanza internazionale, con i suoi flussi e deflussi, aveva messo in ginocchio alcune  economie regionali di quell’area ( Thailandia, Indonesia, Filippine e Corea del Sud). Col senno di poi, potremmo dire che la crisi del Sud-Est asiatico  della seconda metà degli anni ’90 fu la prova della potenza distruttrice di un capitalismo finanziario che si era geneticamente modificato trasformandosi,  grazie alla massiccia deregolamentazione dei mercati, alla globalizzazione  e al superamento dell’antica distinzione  tra banche commerciali e banche d’investimento, in un’industria  a se stante abbandonando il vecchio ruolo di infrastruttura a sostegno della produzione di beni e servizi. La politica ha oggi la forza per ricondurre la finanza dentro regole che, senza mortificare il profitto finanziario,  tuteli l’economia reale e il benessere delle popolazioni o dobbiamo attenderci un’esplosione popolare in quasi tutti i paesi occidentali con forme di violenza che alimenteranno nuovi terrorismi? Se così stanno le cose, è giusto richiedere ed ottenere   dall’Europa in tempi brevissimi l’integrazione  bancaria ( dalla vigilanza affidata alla Bce alla garanzia europea sui depositi bancari) e quella fiscale così come una maggiore libertà della Bce per intervenire a difesa della stabilità dell’euro. Senza, però, una contestuale immediata e forte iniziativa per porre regole nuove  e nuovi divieti ai mercati finanziari, le economie reali saranno sempre alla mercè del capitalismo finanziario che ogni giorno muove in un mondo globalizzato flussi di migliaia di miliardi di dollari alla ricerca di profitti spesso irragionevoli. Il profitto va difeso così come lo abbiamo sempre difeso perché  è fonte di libertà individuale e collettiva ma se diventa l’assassino di quelle libertà e nel contempo  del benessere delle popolazioni esso va contrastato con regole ferree per evitare  comportamenti erratici e spesso dolosi ( vedi l’ultimo caso dell’indice Libor che sta coinvolgendo la responsabilità di  grandi banche  e delle  autorità di controllo). I mercati, insomma, non possono essere i nuovi totem che agiscono senza regole e dinanzi ai quali si piegano la politica, i popoli e le loro speranze. I mercati  sono strumenti per far crescere la libertà e il benessere di tutti e se mutano la direzione di marcia o saranno fermati dalla politica o dalla rabbia popolare. Siamo convinti che il Presidente Monti lo abbia saputo spiegare  bene al club dei miliardari tenutosi qualche giorno fa in un’amena località dell’ Idaho.

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