Lezioni referendarie

articolo pubblicato su Il Foglio Quotidiano il 9 luglio 2015

Fuori dagli eccessi di tifo, il referendum greco ha avuto l’effetto politico di togliere dal tavolo del negoziato con Bruxelles il governo Tsipras il cui posto è stato preso dal popolo greco. Furbizia o imprudenza che fosse, è questo l’effetto politico che il voto referendario ha prodotto ed i vertici europei lo sanno bene e sanno che se continuano negli errori degli ultimi anni alimenteranno in tutti gli Stati membri forti sentimenti antieuropei. Sia detto ancora una volta che la Grecia deve fare alcune riforme (fiscali, previdenziali e pubblica amministrazione) necessarie perchè la sua economia si riassesti ed elimini ogni bomba a scoppio ritardato ma è altrettanto vero che alcune di queste riforme, in particolare quella pensionistica, hanno bisogno di qualche anno per produrre effetti sulla spesa pubblica che peraltro è già stata abbattuta in maniera significativa come dimostrano tutti i grafici sull’argomento. Quel che l’Europa, però, non ha voluto capire è un paese nelle condizioni della Grecia esce dal tunnel se si riprendono investimenti  pubblici e privati perchè la politica dei tagli, da sola, produce solo recessione, disoccupazione e miseria di massa. Questa linea fallimentare è quella che il fondo monetario ha sempre praticato in molti paesi mettendoli in ginocchio (Indonesia, Thailandia, Argentina, Africa subsahariana) e che purtroppo, in assenza di una visione politica da parte del consiglio dei capi di stato e di governo è rimasta l’unica in campo con gli effetti che abbiamo sotto gli occhi. Il dato che più colpisce in questa vicenda, infatti, è la crisi politica in cui  è caduto il Consiglio europeo e la concomitante  inquietante scomparsa del parlamento di Strasburgo che non ha ritenuto neanche di convocare il presidente del consiglio europeo l’olandese Donald Tusk dinanzi alla commissione affari economici e monetari  presieduta peraltro da un italiano, il democratico Roberto Gualtieri professore di storia contemporanea alla Sapienza. Il vuoto politico del consiglio e del parlamento è stato in parte riempito da Mario Draghi che già ha battuto l’ostracismo tedesco sul ” quantitative easing” sul quale ha votato contro il rappresentante della BundesBank Jens Weidmann e con il quale ha potuto  contrastare la svalutazione competitiva delle altre monete attivata con l’inondazione di liquidità nei rispettivi mercati nazionali dalla Fed americana, dalla banca d’Inghilterra e dalla Banca centrale del Giappone. Ma la supplenza di Draghi non può coprire il vuoto politico a 360 gradi  e nella nuova trattativa il consiglio europeo, e lo stesso parlamento,  devono ritrovare uno smalto antico se non vorranno mettersi sulle spalle il peso di una lenta dissoluzione non solo dell’eurozona ma dell’intera Europa comunitaria. Venendo al merito crediamo che un paese membro della comunità europea debba avere un trattamento almeno simile ad una grande banca o ad una grande azienda. Partiamo da queste ultime. Cosa si fa e cosa si chiede ad una grande azienda fortemente indebitata per evitare il fallimento? Si chiede innanzitutto agli azionisti  di metter mano alla tasca per fare un piccolo aumento di capitale (per la Grecia riforme temporalmente sostenibili) e si offre un abbattimento parziale del debito bancario oltre ad una ristrutturazione del debito residuo riducendo i tassi in maniera drastica e riscadenzando le rate allungandone il tempo con l’aggiunta di due  o tre anni di preammortamento, pagando cioè solo la quota interessi  e non quella capitale, per dare il tempo all’azienda di tornare a mettere fieno in cascina. Alla Grecia, finora, è stato negato ogni abbattimento parziale del debito ed ogni preammortamento, affogandolo nell’acqua dei tagli e dei debiti cresciuti a loro volta per gli interessi e per la mancata crescita. Ed alle banche in difficoltà governi e banche centrali cosa danno  per rimetterle in pista? Al di là delle nazionalizzazioni che certo non possono essere applicate ad un paese sovrano, si dà innanzitutto liquidità a tassi vicino allo zero. Non a caso Draghi dà liquidità alle banche da due anni a questa parte con tassi azzerati ed in più  acquista titoli del debito pubblico e privato che appesantiscono i portafogli degli istituti  di credito come per l’appunto sta facendo la BCE (acquista titoli per 60 miliardi al mese per 18 mesi cioè oltre 1000 miliardi a banche e a Stati sovrani). I governi, a loro volta, come ha già fatto Renzi, danno agevolazioni fiscali come, ad esempio, quelle sui crediti incagliati sui quali si pagheranno le imposte solo quando quei crediti saranno incassati. Addirittura in Italia si sta discutendo se dare una garanzia pubblica a 180 miliardi di euro di crediti incagliati che le banche trasferirebbero nella cosiddetta Bad Bank. Gli europeisti convinti come noi e come tanti altri potranno sperare che la Grecia, con il fardello dei suoi debiti, possa essere trattata alla stregua di una grande Banca, tanto grande da non poter fallire? Se così non fosse sarà il  sogno di una Europa politica, quella di De Gasperi, Adenauer, Schuman e Spinelli a sparire del tutto.

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