Quattro indizi utili per capire in che senso la legge di Stabilità non fa altro che gestire l’ordinario

Articolo pubblicato su “Il Foglio quotidiano” il 27 ottobre 2015

Al direttore- La legge di stabilità altro non è che la fotografia di quel che ritiene di fare il governo di turno per il futuro del Paese. l’Italia di oggi ha quattro grandi problemi irrisolti: a) la crescita economica; b) il debito che ha raggiunto la cifra record di 2170 miliardi di euro; c) le disuguaglianze crescenti con annessa povertà; d) l’occupazione. In ogni legge finanziaria ci sono sempre cose buone ed altre meno , (la migliore di oggi è il superammortamento degli investimenti fatti per le imprese) e il testo all’esame del Parlamento va esaminato in tutti i suoi dettagli perchè è lì che spesso il diavolo si nasconde. Sin da ora, però, è possibile dare una valutazione politica. La legge di stabilità è la traduzione, in cifre e in provvedimenti, degli obiettivi che il governo si è dato con la nota di aggiornamento del documento di programmazione finanziaria. Vediamola da vicino questa nota con riguardo alle 4 grandi questioni citate. La crescita. Il governo immagina che quest’anno la nostra economia possa crescere dello 0,9% sfiorando, forse, un punto percentuale. Secondo gli obiettivi che il governo si pone la crescita italiana nel 2016 e nel 2017 crescerà dell’1,6% del Pil ( le organizzazioni internazionali parlano dell’1,3% ma noi crediamo al governo). Dopo aver perso quasi 10 punti di Pil nel periodo 2008-2014 avere come obiettivo nel triennio una crescita che nel migliore dei casi, sarà poco meno o poco più del 4% in un contesto così favorevole ed irripetibile con il crollo del costo dell’energia e dei tassi di interesse, significa adagiarsi in una gestione dell’ordinario, testimoniando così che il maggior deficit richiesto all’Europa non sarà utilizzato per la spesa in conto capitale. Gli investimenti pubblici non brillano ( poco meno del 3% del Pil nel 2016 per arrivare al 4% nel 2017 e ridursi ancora nel 2018), che non sono compensati dagli effetti positivi di quel super ammortamento per le imprese e trascinano con sè il deterioramento della politica dei fattori di produzione, (trasporti, energia, telecomunicazioni, acqua, assetto idrogeologico). Il motivo di questa riduzione degli investimenti è la mancanza di risorse. Seconda questione: il debito. Nulla si prevede su questo terreno. La riduzione prevista del rapporto debito/Pil è legato solo al modesto aumento del denominatore ( appunto il Pil) sino a ieri negativo mentre in valore assoluto il debito aumenta di oltre 50 miliardi sempre quando non si muovano i tassi di interesse e sempre quando le norme di salvaguardia di 16 miliardi, disattivate per il 2016 ma rimesse leggermente maggiorate ancora per il 2017, non si trasformino esse stesse o in nuovo debito o in un aumento delle tasse. Le disuguaglianze crescenti non sembrano diminuire. L’ Istat registra la povertà assoluta del 5,7% delle famiglie e quella relativa del 10,3% a fronte di una ulteriore piccola crescita di famiglie milionarie. E’ ormai da un decennio che le manovre correttive sono messe sulle spalle dei ceti medi e medio bassi mentre la ricchezza nazionale non concorre in alcun modo a rilanciare il Paese. Anzi, paradossalmente, alcune misure fanno guadagnare di più chi sta meglio o addirittura le grandi famiglie ricche piuttosto che quelle deboli come fa la popolare abolizione delle tasse sulla prima casa. Infine l’occupazione (il mezzogiorno ha perso quasi 800 mila posti di lavoro in pochi anni) con un tasso di disoccupazione nazionale che ad agosto scorso era dell’11,9% e che, secondo gli obiettivi del governo, nei prossimi tre anni scenderebbe appena al 10,7% nel 2018. Tutte le cifre ricordate sono date dal governo e sono tra loro coerenti perchè crescita bassa, inferiore alla media dell’eurozona, debito crescente e lentissima discesa del tasso di disoccupazione con povertà stabile o crescente è un “unicum”, un mantenimento, cioè, dello stato attuale, un vivacchiare modesto, insomma, nel mentre pezzi importanti del sistema produttivo del Paese passano nelle mani della finanza internazionale e dei fondi sovrani che non investono in Italia ma acquistano. E’ possibile fare qualcosa di più e di diverso? Certo. Basterebbe, per fare un solo esempio, che si mettesse per 4 anni un vincolo di portafoglio sugli investimenti delle casse previdenziali pubbliche e private per complessivi 10 miliardi di euro l’anno per acquistare immobili pubblici a reddito ed avere a disposizione 40 miliardi con i quali integrare una manovra quadriennale e renderla ancora più forte anche con un’iniziativa straordinaria sul debito sulla base di proposte note e stranote liberando così risorse ingenti dalla spesa per interessi. Politicamente la manovra cattiva non è e si vende anche bene ma non è un voltar pagina e non avvia a soluzioni nessuno dei grandi problemi del Paese.

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