Brexit, che fare?

articolo pubblicato su Il Foglio Quotidiano il 24 febbraio 2016

In un tempo lontano un vecchio detto popolare londinese diceva che quando il mar della Manica era agitato il continente europeo era isolato. Un proverbio che la diceva lunga sullo spirito imperiale del popolo e della elite di Sua Maestà britannica puntualmente ricomparso nell’ultimo consiglio europeo. L’accordo, infatti, raggiunto a Bruxelles riconosce alla Gran Bretagna uno status speciale su diversi aspetti tra cui i più importanti sono: a) essere fuori da ogni più stretta unità politica europea per oggi e per sempre; b) negare per 4 anni i sussidi ai lavoratori comunitari trasferiti sul suolo inglese e “frenare” per sette anni per questi ultimi misure previdenziali; c) mantenere distinte, e a nostro giudizio distanti, la vita finanziaria degli Stati con moneta diversa dall’euro compresa la risoluzione delle istituzioni finanziarie e bancarie la cui competenza resta sul capo delle rispettive banche centrali. Diciamo subito che l’accordo ha un valore strategico per sconfiggere l’antieuropeismo crescente che se avesse vinto nel referendum portando la Gran Bretagna fuori dall’Unione europea avrebbe aperto una falla gigantesca con la fatale conseguenza di sgretolare progressivamente l’intera comunità europea. Detto questo, però, ora bisogna ripartire da questo accordo per rilanciare con riforme strutturali l’Unione europea. A cominciare naturalmente dalla rivisitazione della disciplina della Unione bancaria che tra le sue follie, tutte inesistenti in paesi liberisti come gli USA e la Gran Bretagna, impedisce ad uno Stato membro di salvare una banca in difficoltà (garantendo così non gli azionisti ma i depositanti che nessuna responsabilità hanno nella gestione di una banca) salvo poi imporre allo stesso Stato membro l’obbligo di metter mano alla tasca quando la banca fallisce. Per non parlare della altra follia secondo la quale ciò che non si permette ad uno Stato membro dell’eurozona lo si consente ai fondi sovrani del medio-oriente e dell’Oriente motivo per il quale dilagano gli acquisti degli Stati sovrani orientali sul nostro sistema bancario insieme, guarda caso, ai fondi di investimento occidentali quasi sempre di origine anglosassone o comunque con sede a Londra. Quel demenziale ragionamento per cui dinanzi alla crisi di una banca i poteri ultimi siano da affidare al mercato dietro l’alibi liberista e non allo Stato, con l’accordo firmato a Bruxelles significa consegnare alcuni paesi della Eurozona del Sud alla City londinese perchè essa è larga parte del mercato finanziario europeo e mondiale. Se già da mesi cresceva l’esigenza di rivisitare il bail-in, come aveva detto lo stesso governatore della Banca d’Italia Visco, a maggior ragione dopo lo status speciale inglese bisogna subito correre ai ripari. Questo tema forse è meno cogente per i francesi ed i tedeschi che hanno conservato nel proprio sistema bancario e finanziario una significativa presenza pubblica ma per l’Italia che si è disarmata in questi venti anni è fondamentale che il pubblico rientri nel sistema finanziario italiano considerando che le riforme delle popolari, ad esempio, metteranno altre possibili prede all’attenzione dei famelici fondi sovrani dell’Oriente e dei fondi anglosassoni. Alla stessa maniera rivisitando e modificando la disciplina della Unione bancaria si tornerebbe a dare allo Stato membro i poteri ultimi dinanzi a crisi finanziarie, industriali e sociali e non certo ai mercati finanziari che stanno distruggendo nel mondo l’economia reale con un processo di finanziarizzazione progressiva. Ecco perché il governo Renzi dovrebbe mettere all’attenzione del consiglio europeo dei capi di Stato e di governo da un lato una nuova disciplina dei mercati finanziari vietando, ad esempio, la vendita dei prodotti finanziari tanto innovativi da essere opachi nel grande mercato retail degli sportelli bancari limitandola ai soli investitori istituzionali e dall’altro, poiché non si vive di solo pane, mettere rapidamente allo studio una comune piattaforma scolastica e formativa per tutti i paesi della Unione sulla quale aggiungere le specificità nazionali per far crescere una generazione di cittadini europei che sarà la migliore garanzia per la tenuta comunitaria per il futuro. Se tutto questo non vi sarà, l’Europa sarà sempre più governata da un lato da Francia e Germania che hanno preservato una parte dello Stato gestore nei settori manifatturieri e dei servizi, compresi quelli bancari, e dall’altro lato dalla Gran Bretagna già da anni la culla della grande finanza mondiale il cui ruolo viene ulteriormente legittimato con l’ultimo accordo di Bruxelles. Nuova regolamentazione dei mercati finanziari, rivisitazione della disciplina della Unione bancaria, nuovo ordine monetario per evitare una drammatica guerra delle valute ed una comune piattaforma scolastica e formativa sono, oltre alla insoluta questione della grande migrazione biblica, le urgenti priorità da inserire nell’agenda europea perchè l’Unione possa ritrovare quello spirito antico senza del quale si sgretolerà sotto il peso degli egoismi nazionali. Ed allora, chissà, risorgerà una sorta di un nuovo Commonwealth tutto europeo.

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