Troppe ombre francesi su Unicredit

Pubblicato su “Il Fatto quotidiano” il 7/01/2017

Nel frastuono di una quotidianità politica confusa e litigiosa accadono cose che sfuggono all’attenzione della pubblica opinione e quasi sempre a quella di un parlamento tutto ripiegato su se stesso. Una di queste cose è la vicenda Unicredit che sta passando sotto silenzio per via della più urgente questione del Monte dei Paschi. Unicredit ha superato con successo nella prima metà del 2016 lo stress test della BCE ed il 18 aprile ha distribuito 750 milioni di euro di dividendi ai propri azionisti. Ha realizzato negli ultimi tre anni utili netti per oltre 5 miliardi di euro di cui 1,9 nei primi nove mesi del 2016. A distanza di poco più di sei mesi dallo stress test, il suo nuovo amministratore delegato, il francese Jean Pierre Mustier, ha presentato un piano industriale che prevede non solo un taglio di 833 filiali e di 14mila dipendenti ma anche un aumento di capitale per il prossimo marzo di ben 13 miliardi di euro più la cessione di oltre 17 miliardi di crediti deteriorati. Sempre nel silenzio generale, Mustier ha venduto agli altri francesi di Amundi la società Pioneer per 3,5 miliardi, la partecipazione nella polacca Bank Pekao per circa 3 miliardi ed il 30% di Fineco Bank per 880 milioni. Si arriva così ad un aumento di capitale complessivo di oltre 20 miliardi di euro. O la BCE ha sbagliato di grosso il suo stress test o Mustier sta organizzando una operazione che nulla ha a che fare con l’efficienza e con l’interesse della banca. In quest’ultimo caso quale sarebbe il retropensiero che ispira il francese Mustier? Molti azionisti, cominciando dalla stesse fondazioni già ridotte al lumicino, non avrebbero le risorse necessarie per concorrere pro quota a questo aumento di capitale. La loro diluizione comporterebbe sul piano finanziario un esproprio perché gli utili del 2016 saranno distribuiti ai vecchi e nuovi azionisti nel nuovo equilibrio. Diventa difficile non immaginare che ad esempio grandi società francesi non sottoscrivano in maniera massiccia sul mercato l’aumento di capitale o addirittura non acquisiscano quote importanti di azioni prima ancora della partenza per sottoscrivere poi a sconto l’aumento di capitale o comprino diritti di opzione per sottoscrivere l’aumento nelle settimane tra l’inizio e la chiusura della procedura. D’altro canto se questo aumento così ingente fosse necessitato dalle condizioni dissestate della banca Mustier avrebbe dovuto chiederne conto ai responsabili perché un fabbisogno di liquidità di venti miliardi non si realizza nello spazio di sei mesi. Una Unicredit francesizzata potrebbe far scattare il corto circuito tra Mediobanca, Assicurazioni generali e la stessa Unicredit per farne un solo gruppo finanziario controllato dal capitalismo francese. Tutto ciò che è avvenuto in questi venti anni sul terreno delle privatizzazioni di aziende pubbliche e del passaggio di mano al capitalismo internazionale di grandi imprese private italiane senza alcuna reciprocità giustifica ampiamente il nostro sospetto. Governo e Parlamento dovrebbero chiarire queste ombre sul maggiore aumento di capitale di un istituto bancario in tutta Europa. Poi sarà la Consob a spiegare ai risparmiatori le reali condizioni della banca.

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