Mi hanno assolto dopo 11 anni. Con le leggi M5S sarei ancora lì

articolo pubblicato su Libero il 27 dicembre 2019

Non dimenticherò mai quel San Valentino del 1993 giorno nel quale cominciò il mio tremendo calvario giudiziario. La mattina del 14 febbraio di quell’anno ero in assemblea nel noto quartiere di Scampia a Napoli insieme ad Umberto Ranieri, deputato Pci, con i residenti di quella zona degradata per cercare alcuni rimedi che potessero sollevare i disagi di decine e decine di famiglie. Uscimmo da quell’assemblea con la convinzione di far stanziare subito 100miliardi di vecchie lire per abbattere le famose Vele di Scampia e costruire un quartiere a misura d’uomo (pochi giorni dopo quella nostra decisione sarà legge dello Stato). Mentre rientravo a casa fui chiamato da un ufficiale dei carabinieri che mi chiese dove potermi raggiungere per consegnarmi un avviso di garanzia emesso dalla procura di Foggia. Un’ora dopo leggevo quell’avviso con l’accusa di corruzione per aver finanziato un’opera pubblica ad un’azienda amica che avrebbe poi dato ad un deputato mio amico dei soldi. Non conoscevo l’azienda in questione e quel finanziamento di cui si parlava non lo avevo deciso io ma il mio predecessore al ministero del bilancio. Cominciò subito naturalmente la gogna mediatica e recatomi dai due pm di Foggia rappresentai con documenti alla mano la mia estraneità ai fatti che venivano raccontati in quell’avviso. Compresi subito che i due grandi inquisitori non si sarebbero fatti togliere dalle mani quello strumento che li aveva portati agli onori della cronaca nazionale. La notorietà è una grande seduttrice! In quel tempo era in corso peraltro la grande caccia ai politici ed io ero un boccone prelibato per i giustizialisti. Naturalmente fu subito inviata alla Camera dei deputati la richiesta di autorizzazione a procedere essendo ancora vigente quella tutela per i parlamentari della repubblica. Nella apposita commissione parlamentare la mia pratica fu affidata per la relazione istruttoria all’onorevole Giovanni Correnti del Pci già allora trasformatosi in DS. Nel frattempo alla primitiva richiesta di autorizzazione a procedere nelle indagini la procura di Foggia ne aggiunse un’altra con la quale si chiedeva addirittura il mio arresto. Alcune settimane più tardi ebbi una telefonata proprio dall’onorevole Correnti che mi disse testualmente “caro Pomicino io non la conosco se non dalle cronache politiche ed ho letto la richiesta di autorizzazione alle indagini ed al suo arresto. Ho letto attentamente le carte e davvero non so lei cosa c’entra in questa vicenda. Siccome la mattina quando mi faccio la barba non posso sputarmi in faccia le anticipo che domani in commissione chiederò che l’autorizzazione sia negata e le carte rinviate alla procura”. Lo ringraziai per le sue parole e dopo la commissione anche l’aula di Montecitorio respinse a larghissima maggioranza la richiesta della procura di Foggia. Tutto ciò accadeva nell’aprile del 1993. Alla fine di quell’anno la ventata giustizialista guidata dai comunisti portò alla eliminazione della cosiddetta immunità parlamentare che peraltro non era affatto tale in quanto l’azione penale poteva essere esercitata a carico di un parlamentare ma solo con il voto favorevole del Parlamento. Non a caso nel passato alcune autorizzazioni erano già state date e due, addirittura, per due ministri. Immagino che nella procura di Foggia si fosse brindato al lieto evento per cui subito i due grandi inquisitori di quell’ufficio chiesero il rinvio a giudizio. Una Gip in poche ore lesse oltre mille pagine e rinviò a giudizio me ed altri deputati compreso l’amico Rino Formica (quella giudice anni dopo divenne una carissima mia amica ed estimatrice). Era l’anno di grazia 1994 ed uno dei due inquisitori passò  subito a miglior vita. Fui assolto con formula piena nell’ottobre del 2004, cioè 11 anni dopo il primo avviso di garanzia. Altri processi durarono anche qualche anno in più e finirono sempre o con l’assoluzione o in qualche caso con la prescrizione mai richiesta ma puntualmente applicata per evitare che l’ufficio del pubblico ministero facesse una figura barbina. Come è noto ebbi una condanna per finanziamento illecito per la questione Enimont e la procura di Milano nel 2003 mi chiese di patteggiare sette/otto accuse che non stavano in piedi con una condanna di soli sessanta giorni. Accettai perché ero già in lista per il trapianto cardiaco che feci qualche anno dopo. Ma torniamo al mio primo processo. I fatti raccontati dimostrano per tabulas che il parlamento della repubblica in poche settimane aveva visto la verità mentre alla procura di Foggia e al collegio giudicante ci vollero ben 11 anni per riconoscerla. L’ineffabile guardasigilli Alfonso Bonafede spiega sempre che la prescrizione è una beffa per le vittime di reati. Giusto, ma sarebbe il caso che il nostro ineffabile rivolgesse le sue attenzioni ai magistrati e non all’istituto della prescrizione che per decine di migliaia di persone innocenti garantisce di non essere processati all’infinito. E le vittime che non hanno trovato giustizia se la devono prendere innanzitutto con il governo che non dà il personale necessario per un rapido svolgimento dei processi ed in alcuni casi anche con magistrati giudicanti. Lo scambio tra vittime che non trovano giustizia ed innocenti che restano per anni sotto processo non regge nè costituzionalmente nè moralmente. Il nostro ineffabile ministro della giustizia mettesse mano prima alla modifica del processo penale e all’aumento del personale giudicante ed amministrativo dei tribunali e poi vedrà come la prescrizione apparirà in tutta la sua legittimità essendo peraltro un istituto obbligato dalla stessa norma costituzionale che prevede una ragionevole durata del processo. Qual è la ragionevole durata di un processo secondo Bonafede? Dieci, quindici, venti anni? Quando mi applicarono tre volte la prescrizione mai richiesta ed in un caso addirittura invano rifiutata erano già passati oltre 10/11 anni per il solo primo grado di giudizio. Non vorrei aggiungere infine una malizia che spesso risponde al vero, ma sa Bonafede che spesso per evitare figure barbine all’ufficio del pubblico ministero il processo viene portato in tempi lunghissimi da alcuni collegi giudicanti proprio per applicare la prescrizione? Ed infine uno stato di diritto può continuare ad esistere quando c’è un gruppo di persone che non sono giudici ma solo inquirenti e che sono i soli italiani ad essere non punibili, nemmeno disciplinarmente, per qualunque iniziativa essi prendano? La libertà delle persone e la tutela della loro dignità sono valori costituzionali e vedremo in parlamento quale sarà l’atteggiamento su questa questione di quelle forze repubblicane (PD, Italia viva, articolo uno) che si richiamano sempre alla costituzione dinanzi alla demagogia del movimento 5stelle, dilettanti allo sbaraglio il cui capo politico sa solo minacciare, mentire e fare strafalcioni di ogni genere al punto tale che negli stessi suoi gruppi parlamentari, cui è stato imposto sin dall’inizio di ubbidir tacendo e tacendo vergognarsi, sale una insofferenza sempre più intollerabile. 

 

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