Proposta: una grande alleanza e un patto fiscale per 4 anni

articolo pubblicato su Milano Finanza il 17 aprile 2020

Più volte il presidente del consiglio Conte nei suoi messaggi televisivi ha ripetuto con enfasi “lo Stato c’è”. E lo Stato c’era con quelle centinaia di migliaia di medici ed infermieri nelle corsie degli ospedali, con i lavoratori nei servizi pubblici e con gli operai e dirigenti delle filiere produttive essenziali alla vita quotidiana del paese e con tutte le forze dell’ordine e militari.  Ora c’è bisogno che anche altre parti della società facciano la propria parte per tutto quanto possa aiutare il paese a vincere la battaglia contro la pandemia ed a rilanciare una economia da oltre 20 anni pesantemente stressata. Tra queste un ruolo fondamentale può giocarlo la grande ricchezza nazionale, cioè quel 20% di italiani che controllano il 72% della ricchezza del paese. Noi apparteniamo a quella cultura che nel tempo ha versato il sangue dei propri dirigenti e militanti per difendere il valore etico, politico ed economico del profitto e dell’economia di mercato, garanzie delle libertà personali e collettive. Da quella cultura, però, abbiamo anche appreso il valore umano, religioso, politico ed anche economico della solidarietà capace di rendere coesa una società nazionale ed una comunità sovranazionale. Ora, dunque, è il tempo delle idee e delle proposte con umiltà ma anche con determinazione sapendo che nessuno di noi ha la verità rivelata. Diciamo subito che siamo contrari a qualunque ipotesi di patrimoniale perché sarebbe un grave errore economico che darebbe un ulteriore input recessivo all’economia con un effetto devastante. Detto questo, però, oggi c’è bisogno di una alleanza forte tra lo Stato e la ricchezza nazionale perché lo sforzo per uscire da questa tremenda situazione impone a ciascuno di fare, come abbiamo detto, la propria parte in piena libertà di intenti. Vediamo, dunque, gli strumenti possibili perché possa essere messa in campo una politica condivisa che esalti ad un tempo la libertà, la solidarietà e lo sviluppo economico. Lo Stato dovrebbe chiedere a tutti i contribuenti di poter dare volontariamente un contributo a fondo perduto al paese da 30 mila euro a 10 milioni secondo una scala definita sulla base del reddito o del fatturato, persone fisiche e giuridiche, da versare in due annualità per concorrere a salvare il paese (la ricchezza salverebbe anche sè stessa). Dinanzi a questa eventuale e libera risposta positiva lo Stato dovrebbe rispondere con altrettanta fiducia verso quei contribuenti che volontariamente si mettessero al servizio del paese evitando loro per 4 anni ogni accertamento fiscale a condizione, però, che in ogni anno reddito e fatturato di quegli stessi contribuenti aumentino almeno dell’1,5%. Una grande alleanza, dunque, basata sulla fiducia reciproca e sulla pace fiscale vera tra la ricchezza nazionale e lo Stato che frutterebbe un gettito aggiuntivo per il paese di almeno 120 miliardi di euro. Proposta, la nostra, largamente compatibile con quella di Tremonti e di altri che sponsorizzano una emissione di titoli trentennali con basso tasso di interesse per drenare grandi liquidità al servizio degli investimenti pubblici. Alcuni poco attenti potranno dire che la nostra proposta arieggia una sorta di condono preventivo mentre altro non è che un concordato preventivo sull’imponibile nell’interesse del paese e del quale i diversi governi della seconda repubblica hanno già fatto uso. Cosa è, infatti, se non un concordato preventivo la norma che garantisce agli italiani che dovessero rientrare dall’estero per alcuni anni un imponibile massimo di centomila euro? E cosa è l’impegno più volte ripetuto da autorevoli esponenti del governo la promessa di tassare al 50% quelle aziende che dovessero, riportare in Italia i propri stabilimenti produttivi delocalizzati? La ratio della nostra proposta è esattamente questa. Se poi a questo sforzo si aggiungessero anche le casse previdenziali e i fondi pensioni che hanno 200 miliardi di euro investiti di cui 50 miliardi in BTP e vendendo i quali comprassero per la stessa cifra immobili pubblici messi a reddito, lo Stato avrebbe in tempi rapidi da 170 a 200 miliardi di euro di risorse fresche che potrebbero reggere una leva a debito di altri 100/150 miliardi senza pregiudicare il futuro del paese garantendo, così, anche il grande risparmio degli italiani che resta la vera ricchezza del paese (nel 2019 il risparmio degli italiani è stato di 83 miliardi). E se infine a tutto questo si aggiungessero, accanto a quelli già varati dalla BCE, anche quelli di un fondo europeo (qualunque sia il nome di questo fondo) per il rilancio delle economie della eurozona metteremmo insieme un mix di risorse di gran lunga maggiore di quelle del piano Marshall. Con questo potenziale di fuoco si potrebbe finalmente innescare quel circuito virtuoso che manca da 25 anni di una crescita di oltre il 2% e di una contestuale riduzione del debito. Quel che non emerge in queste ore di corsa al debito illimitato, essenziale nel brevissimo tempo per sostenere famiglie ed imprese e battere il coronavirus, è, infatti, il rischio che correrebbe l’Italia nel medio periodo se il suo debito continuasse a salire in valore assoluto. Qui non si tratta di avere il permesso dall’Europa o dalla BCE o dai mercati, ma si tratterebbe di avere per i prossimi decenni una spesa per interessi che salirebbe fino a 90/100 miliardi di euro all’anno, cioè un macigno che ci renderebbe sempre vulnerabili e che ci impedirebbe di crescere, di ammodernare i servizi essenziali a cominciare dalla sanità e dall’istruzione, e di investire in ricerca e infrastrutture e nel risanamento ambientale. Cioè il futuro del paese! Riflettiamoci un momento con calma e senza pregiudizi e vedremo che con uno sforzo di tutti, tutti avranno benefici mentre moltissimi miglioreranno la propria vita e quella minoranza generosa non modificherebbe la propria. Alla vita che centinaia di migliaia di italiani stanno mettendo a rischio per difendere tutti, tutti dovranno dare una risposta alla loro altezza perché tutti rinascano da questa tragedia più liberi, più sani, più autorevoli e forse anche meno poveri.  

 

 

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