Lettera al direttore

Lettera pubblicata su ‘Il Foglio’ 25 giugno 2022
Al direttore – Caro sindaco Sala, ieri sera tornando a casa un po’ stanco per essere andato a una presentazione del mio ultimo libro, “Il grande inganno”, ho sentito al volo nell’ultimo telegiornale una sua battuta in diretta televisiva. Pressato dai giornalisti sulla sua futura collocazione politica ha detto pressappoco così: “Tutti parlano di centro ma vorrei capire cosa è mai questo centro”. Domanda sorta dal profondo con tanta veemenza da apparire subito tanto sincera quanto giusta. Termini come centro, sinistra e destra senza un aggettivo qualificativo sul piano culturale altro non sono che segnali stradali. Nell’ignoranza politica che da anni sta affliggendo il nostro paese, quasi nessuno si preoccupa più di aggettivare questi termini anche perché quasi tutti i partiti hanno perso le rispettive culture politiche di riferimento smarrendo identità e democrazia e trasformandosi in comitati elettorali del segretario nazionale di turno. Se non la ritiene una offesa, mi permetto di dirle il mio pensiero sull’argomento spiegando che ad esempio c’è la sinistra comunista, quella socialista, quella liberale e cattolica e da qualche tempo anche quella ecologica. E questo vale per la destra, cattolica, liberale, nazionalista. Storicamente destra e sinistra così aggettivate hanno quasi sempre avuto impianti ideologici per cui se la realtà non era quella che le rispettive culture immaginavano, peggio per la realtà e a farne le spese quasi sempre erano la libertà e la democrazia. Il centro è tale solo se viene incarnato dal popolarismo e dal classico liberalismo, due culture politiche che storicamente erano prive di vincoli ideologici anche se avevano forti convinzioni culturali e che nel nostro paese hanno costruito l’Italia repubblicana e l’Europa comunitaria. Il centro popolare o liberale accompagna lo sviluppo delle società senza strappi e senza imposizioni ma è stato sempre attento a che le società nazionali non tracimassero verso nessuno degli estremismi politici, entrambi nemici della democrazia. Lei ha ragione a porsi con forza quella domanda. La citata ignoranza pensa che il centro sia un posizionamento parlamentare che può consentire alleanze a destra e a manca proprio perché essendo solo segnali stradali non vincolano nessuno. L’ultima legislatura ha dimostrato per tabulas quanto sto dicendo avendo prodotto tre governi con tre maggioranze diverse e alternative tra loro e con tanta faciloneria da scadere anche nella comicità. La Democrazia cristiana, come disse Alcide De Gasperi sin dall’inizio del Dopoguerra, era un partito di centro che guardava a sinistra mentre governava solo con i liberali, i repubblicani e i socialdemocratici. Caro sindaco, lei è un ottimo manager, e lo ha dimostrato nella realizzazione dell’Expo, e un attento amministratore pubblico, come dimostra la sua prima legislatura a Palazzo Marino. Ma lei non è ancora un politico, e non deve ritenersi offeso da questa mia dichiarazione, perché nella vita ha fatto altro. Il soffio vitale che fa di un comitato elettorale e di un programma un partito che sa governare è la cultura che lo innerva e che mette a fattor comune i bisogni popolari con i tanti legittimi interessi strutturati nel paese che spesso colludono o collidono. Messi insieme, la cultura politica lima le asperità di ciascun interesse e di ciascun bisogno e garantisce un progetto largamente compatibile al proprio interno con un permanente feedback tra il Parlamento e le articolazioni sociali che la società autonomamente si dà, i famosi corpi intermedi. Oggi l’assenza di culture politiche ha fatto evaporare i tanti corpi intermedi che concorsero con la politica nei primi 40 anni della Repubblica a fare dell’Italia uno dei sette paesi più industrializzati del mondo, sconfiggendo a un tempo il terrorismo brigatista e lo stragismo di destra. Quella evaporazione ha creato un vallo tra la società, il Parlamento e il governo di cui è testimone la volatilità del consenso che ha colpito tutti, Renzi, Salvini, Grillo e forse domani, chissà, la Meloni. Dicevo che lei non è un politico e avverte questa esigenza. Potrà esserlo a condizione che l’eventuale suo partito abbia un’identità culturale senza la quale sarà un altro comitato elettorale personale per le prossime elezioni politiche. Lei ha due vantaggi, un suo assessore al Bilancio che ben conosco e che sa politicamente leggere di greco e di latino e ha frequentazioni con Giovanni Bazoli, punto di riferimento della cultura popolare cattolica. Si faccia aiutare, discuta e scelga quella cultura che più l’appassiona non quella che appare la più conveniente e costruirà un punto di riferimento in questo sgangherato sistema politico italiano. Se non dovesse farcela, lasci perdere e conservi la sua reputazione di buon amministratore. La politica la riconosce subito, l’appassiona, la ama e non la soddisfa mai e per essa è capace di sacrifici e rinunce inenarrabili. Se la trova si metta una corazza di ferro e si faccia scivolare tutto perché troverà il servo encomio e il codardo oltraggio ma avrà il conforto di dare una mano al suo paese che ne ha tanto bisogno.

Paolo Cirino Pomicino

 

 

 

 

 

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