In quelle accuse c’è odor di depistaggio

Tutto ciò che da qualche settimana si va dicendo da più parti sulla strage del luglio 1992 in cui morì Paolo Borsellino ci appare che prenda lentamente la forma di un grande depistaggio. Non sappiamo gli eventuali beneficati ma non sarà difficile arrivarci. Cominciamo dalle cose più divertenti lette in questi giorni ( nelle tragedie la comicità non manca mai) ed in particolare dalla ritrovata memoria di Luciano Violante e di Claudio Martelli all’epoca Ministro della Giustizia. Violante racconta di essere stato sollecitato dal generale Mori per avere un rapporto con Vito Ciancimino. Nella seduta della Commissione antimafia del 29 ottobre 1992 dedicata alla analisi su mafia e politicaViolante comunica il programma delle audizioni di alcuni mafiosi tra cui Ciancimino senza riferire alla stessa commissione quel che lui ricorda oggi. O il suo ricordo non corrisponde a verità o ha commesso una intollerabile omissione nei riguardi della commissione e  dovrebbe spiegarne i motivi per evitare sospetti terribili. Tertium non datur. L’ex delfino di Bettino Craxi. Claudio Martelli, invece, dice fondamentalmente due cose. La prima è che la Dott.ssa Ferraro, facente funzione di direttore degli affari penali del ministero, avrebbe ricevuto dal capitano dei carabinieri De Donno la richiesta di Vito Ciancimino di collaborare con la giustizia a cominciare, però, dal versante politico. Ebbene cosa fa Martelli? Nulla se non invitare la Ferraro ad informare Borsellino. Eppure Martelli era Ministro di Grazia e Giustizia e di quella notizia avrebbe dovuto informare il presidente del consiglio e il Ministro dell’Interno oltre che il capo della procura di Palermo il quale a sua volta avrebbe dovuto informare   Paolo Borsellino. Una sottovalutazione e una omissione di ieri o un ricordo confuso  di oggi?. Abbiamo anche letto di presunte pressioni per rimuoverlo dal ministero di grazia e giustizia ma l’amico Martelli non ci ha detto chi faceva queste pressioni. Craxi, Forlani o altri? Aspettiamo cortese risposta. Altre pressioni sarebbero state,poi, fatte per togliere Vincenzo  Scotti dal Ministero degli interni senza dire ancora una volta chi armeggiava per questo obiettivo. Lo confessiamo, e non se ne adonti nessuno, ci sembra tutta una grande bufala. E ci spieghiamo. La segreteria democristiana dell’epoca aveva deciso che chiunque fosse stato nominato ministro si sarebbe dovuto dimettere da parlamentare. Una sciocchezza figlia di tensioni crescenti nella D.C. e pochi naturalmente volevano adeguarsi. Scotti era il primo tra questi e spiegava che il ministro dell’interno non poteva rimanere privo dell’immunità parlamentare. La segreteria della D.C. non era d’accordo su questa tesi  e disse a Scotti che o si adeguava o diversamente sarebbe andato ad altro importante ministero. E così fu. Scotti scelse la carica di ministro degli esteri. A testimonianza di ciò che raccontiamo è il seguito della storia. Scotti, a nostro giudizio giustamente, non voleva dimettersi da deputato a prescindere da quale ministero ricoprisse e inventò una delle sue solite furbizie che gli meritarono l’appellativo di Tarzan da parte del compianto Carlo Donat- Cattin. Invece di dimettersi da deputato, preparò una lettera di dimissioni da ministro degli esteri dopo aver concordato con Giuliano Amato, Presidente del consiglio, che quelle sue dimissioni sarebbero state respinte. L’idea era che così facendo poteva dire alla D.C. che si era adeguato alla incompatibilità tra parlamentare e ministro ma il Paese, nella persona del primo ministro lo voleva a tutti i costi. Non appena le agenzie batterono la notizia delle dimissioni di Scotti, Forlani telefonò ad Amato per dare il nome di Emilio Colombo come nuovo ministro degli esteri e dopo un flebile tentativo di mantenere l’impegno con Scotti, Amato accettò le sue dimissioni e in serata stessa salì sul colle nominando Colombo ministro degli esteri. E, come spesso capita nella vita, chi voleva bastonare rimase bastonato. Questa è la verità vissuta da noi in prima persona perché fu lo stesso Amato a mostrarci a Palazzo Chigi la lettera di dimissioni di Scotti e l’accordo sottostante. L’antica amicizia e stima che abbiamo per Martelli ci lascia, dunque, sbalorditi dinanzi a queste puerili bugie delle quali, al momento, non capiamo l’utilità o, forse, non vogliamo capirla. D’altro canto è fin troppo noto il tentativo di Martelli e Scotti di proporsi al neo presidente della Repubblica Scalfaro come presidente e vice-presidente del consiglio aiutati, in questo, dal servizio segreto militare, il Sismi, nei cui compiti non ci sembra ci sia quello di sponsorizzare nuovi vertici del governo del paese. Ma nell’estate del ’92 poteva accadere questo ed altro.

Sgombrato il campo dalle sciocchezze passiamo alle cose serie.

Il motivo per cui, abbiamo parlato di un depistaggio è perché si vorrebbe far passare l’dea che Borsellino sia stato ucciso per la sua opposizione a questa presunta trattativa tra lo Stato e la mafia.

E con quali mezzi, semmai fosse stata vera la trattativa Stato-mafia Borsellino pensava di potersi opporre? E se la trattativa davvero fosse stata avviata e Borsellino ne fosse stato informato, perché non avvertì il capo della procura di Palermo,  il ministro della Giustizia e il procuratore nazionale antimafia? Non scherziamo con le cose serie e non continuiamo ad offendere la Repubblica già vilipesa in quegli anni. La vera trattativa non fu tra Stato, inteso come istituzioni, e mafia ma tra mafia e una parte della politica come tutti ormai sanno e come da tempo abbiamo documentato..

E’davvero sconcertante, ad esempio, che Violante, ideatore dell’opzione giudiziaria per la conquista del potere come ci confidò il compianto Gerardo Chiaromonte  che allertò anche Altissimo ed Amato, ricorda oggi cose mai dette prima a nessuno e meno che meno alla commissione parlamentare antimafia di cui era presidente.

 

Per  meglio comprendere questo ginepraio di contraddizioni, i lettori devono avere la pazienza di seguirci ancora per qualche minuto perché ciò che accadde nel ’92-’93, e cioè  le stragi di Falcone e di Borsellino e poi  le bombe di Firenze, Milano e Roma, fu preceduto da fatti   sui quali non si è voluto fare luce nonostante i nostri continui tentativi. Fatti che qui di seguito succintamente riportiamo avendoli già descritti nei nostri primi due libri e anche  qualche mese fa:

 

1)    nel novembre del 1988 rientra clandestinamente in Italia Totuccio Contorno contattato in America dalla nostra Criminal pool guidata all’epoca da Gianni de Gennaro. Durante il suo periodo di clandestinità trascorso in Sicilia Contorno si sentiva due volte la settimana con De Gennaro al quale sembra avesse promesso di aiutarlo a fornire notizie importanti sui corleonesi. Tanto per capirci Totuccio Contorno era il braccio destro di Stefano Bontade ucciso dai corleonesi di Totò Rijna nei primi anni ’80. Contorno fu arrestato dagli uomini di Arnaldo Lo Barbera che, ignari di tutto, avevano intercettato i colloqui tra lui e Gianni de Gennaro. Totuccio Contorno fu ascoltato dalla Commissione antimafia i cui i verbali sono inspiegabilmente ancora secratati negli archivi del Senato.

Sarebbe utile leggerli e non si capisce la resistenza del Senato a renderli pubblici. Insomma Contorno era per De Gennaro ciò che Ciancimino fu per il Colonnello Mori, e cioè uno strumento confidenziale per infliggere colpi importanti alla organizzazione mafiosa e non si capisce perché parte della stampa faccia due pesi e due misure. Infine è bene ricordare che quando Ciancimino fu arrestato la sua gestione, se il ricordo non ci tradisce, fu proprio assunta da De Gennaro.

2) Nel settembre del 1989 il decreto- legge Andreotti- Vassalli allunga il periodo di carcerazione preventiva agli imputati di associazione mafiosa. Il vecchio P.C.I. con Violante fa una tremenda requisitoria nei riguardi del governo e vota contro.

3) nel 1990 Francesco Di Carlo, mafioso detenuto nel carcere inglese di Full Sutton, riceve un agente dei servizi siriani tal Nazzar Hindaw, insieme a quattro persone, tre medio-orientali e un italiano. Questi gli chiesero di indicare qualcuno che poteva aiutarli a uccidere Giovanni Falcone. Di Carlo, fece il nome di Antonino Gioè, che infatti partecipò alla strage di Capaci, fu arrestato e un mese dopo fu trovato impiccato nel carcere di Rebibbia. Il tutto testimonia l’interesse di qualche servizio segreto straniero perché certo la mafia non poteva entrare e uscire da un carcere inglese;

4) il 23 dicembre 1991 viaggiano casualmente sullo stesso volo Roma- Palermo Luciano Violante e Giovanni Brusca, già all’epoca noto mafioso;

5) tre mesi dopo il piemontese Luciano Violante fu capolista a Palermo del vecchio P.C.I. nelle elezioni politiche del 1992 e in quell’occasione nacque il Movimento della Rete di Leoluca Orlando, che prese in Sicilia il 9% salvo a sparire qualche tempo dopo;

6)  il 5 marzo 1992 c’è l’omicidio di salvo Lima;

7)    il 17 marzo 1992 Vincenzo Scotti Ministro dell’Interno, allerta le prefetture di tutta Italia preannunciando un piano di destabilizzazione istituzionale. Questo piano prevedeva attacchi mafiosi e indagini giudiziarie su tutti i leader dei partiti di governo. Due giorni dopo Scotti si rimangia tutto davanti alle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato;

8)    il 23 maggio 1992 Falcone e la sua scorta saltano in aria;

9)    ai primi di luglio del 1992 , uno scritto anonimo inviato a tutte le autorità e trasformato intelligentemente in interrogazione parlamentare dal Senatore Lucio Libertini, descriveva tutto ciò che poi sarebbe accaduto nei mesi successivi sugli attacchi mafiosi, sulle indagini di Tangentopoli e sull’impunità dei mafiosi pentiti;

10) il 19 luglio ’92 Borsellino e la sua scorta saltano in aria in Via D’Amelio. Pochi giorni prima, insieme al maresciallo Canale era andato in Germania sulla base di alcune carte di Falcone e vi sarebbe dovuto ritornare la settimana successiva. Nessuno ha mai saputo niente sui motivi e sui riscontri di  quel viaggio;

11) nel dicembre ’92 Ciancimino fu arrestato e la sua gestione, oltre che ai magistrati, fu affidata all’esperto Gianni De Gennaro, l’omologo del Colonnello Mori nella polizia di Stato;

12) nel gennaio del ’93 viene arrestato Totò Rijna;

13) nella primavera del ’93 arrivano le bombe mafiose di Milano, Firenze e Roma e subito dopo i programmi di protezione incominceranno a scarcerare mafiosi, camorristi e ‘ndranghettisti ( oltre tremila nei 10 anni successivi) così come aveva previsto il documento anonimo del luglio ’92;

14) Pochi giorni dopo la sua morte, Giovanni Falcone avrebbe dovuto incontrare, come è documentato da un telex alla Farnesina, Valentine Stepankov, procuratore generale di Mosca che indagava sull’uscita dalla Russia di ingenti somme di denaro nella disponibilità del KGB, molti agenti del quale gironzolavano indisturbati per mezza Europa tra cui la Germania compresa.

 

Un’ultima annotazione. Quando ritornammo a Montecitorio dopo un lungo periodo trascorso in ospedale, facemmo un’interrogazione per conoscere quanti mafiosi, camorristi e ‘ndraghettisti erano stati rimessi in libertà attraverso i programmi di protezione nonostante sentenze passate in giudicato con pene comminate di decine di anni di detenzione. Avemmo difficoltà a conoscere i dati tanto che durante un’audizione in commissione antimafia a fronte delle nostre insistenze Giuliano Amato, ministro dell’interno, rispose “ alle sue domande la mia amministrazione è reticente”. Dunque l’ombra lunga della reticenza del Ministero dell’Interno per bocca dello stesso ministro si allungava sino ai giorni nostri. Sulla base di dati recuperati, successivamente, scoprimmo che quasi tremila esponenti della malavita organizzata erano stati rimessi in libertà dal ’93 al 2005 ( tra questi alcuni esponenti delle stragi in cui morirono Falcone e Borsellino come Calogero Ganci senza che mai una volta l’antimafia militante li abbia nominati) mentre le somme confiscate erano appena 723 milioni di euro al 31/12/2007.

Se mettiamo questi dati a fronte del cosiddetto “papello” consegnato in questi giorni da Massimo Ciancimino ci colpisce un fatto e cioè che il cuore delle richieste della mafia avrebbe avuto risposta positiva dal 1993 in poi proprio grazie alla gestione dei programmi di protezione. Ma chi ha la responsabilità di questi programmi? Nessuno lo dice ma abbiamo accertato che  la competenza esclusiva è della commissione centrale per le speciali misure di protezione istituita presso il ministero dell’Interno( ecco, forse la timidezza definita da Amato reticenza). La proposta relativa al programma di protezione è formulata dal procuratore della repubblica procedente e deliberata dalla commissione centrale per le misure di protezione.

Tentiamo, allora, di trarre qualche prima conclusione:

a)     l’idea che Borsellino sia stato ucciso perché si opponeva ad una fantomatica trattativa tra Stato e mafia ci sembra del tutto peregrina per la sua debolezza e poi vorremmo sapere  cosa contenevano le carte di Falcone trasmesse a Borsellino, comprese quelle che lo portarono in Germania. La sua indicazione a procuratore nazionale antimafia fatta pubblicamente da Scotti e da Martelli in risposta alla strage di Capaci fu probabilmente un errore perché lo mise ancora di più al centro del mirino.

b)    E’ necessario capire con quali criteri questa commissione centrale presso il ministero dell’interno abbia gestito quei programmi di protezione che hanno rimesso in libertà migliaia e migliaia di appartenenti alla criminalità organizzata, come era formata e da chi veniva guidata;

c)     Rapporti come quelli tra De Gennaro e Totuccio Contorno e quelli tra Ciancimino e il Colonnello Mori altro non erano che tentativi delle forze dell’ordine di carpire informazioni e sollecitare pentimenti al fine di destabilizzare sempre più l’organizzazione mafiosa;

d)    Logica vorrebbe che se trattativa tra Stato e mafia ci fosse  stata non poteva che essere fatta da chi poteva inserire i pentiti nei programmi  di protezione, a cominciare dai procuratori della Repubblica che proponevano alla commissione ministeriale che deliberava. Noi naturalmente non ci crediamo ritenendo da tempo che la contiguità complice vera fu quella tra qualche forza politica e parte della mafia ( all’epoca Berlusconi non c’era ancora). Grasso potrebbe dirci sull’argomento qualcosa in più piuttosto che darsi alle interpretazioni in libertà perché le sue interviste rischiano di aprire inquietanti prospettive sul ruolo di alcuni procuratori procedenti e funzionari ministeriali.

e)     Tutto ciò che è accaduto era descritto nel documento anonimo dei primi di luglio del 1992 e trasformato in interrogazione parlamentare dal senatore Lucio Libertini qualche settimana dopo;

f)     Il combinato disposto delle inchieste giudiziarie sul finanziamento della politica e dell’intreccio mafia-politica che si realizzò nel ’90-’92 dopo l’offensiva legislativa contro la mafia del governo dell’epoca, fece saltare la prima Repubblica. Insomma la mafia con chi avrebbe  dovuto interloquire e cioè con quanti  avevano allungato la carcerazione preventiva dei mafiosi con il decreto Andreotti- Vassalli e varata la legislazione sui pentiti e sul 41 bis o con quanti si erano opposti ad una parte di questi provvedimenti?. Ecco perché è ridicola e depistante l’intervista di Grasso che, data la sua responsabilità, ci lascia sgomenti per l’approssimazione con la quale parla e la debolezza dell’analisi.

 

Ci fermiamo qui per il momento chiedendo:

1)    di rendere pubblici  i nomi della Commissione centrale per i programmi di protezione e avere sull’argomento dati più precisi e dettagliati senza quella reticenza di cui parlò Amato;

2)    di togliere la decretazione apposta dal Senato a tutti gli atti della Commissione antimafia nel periodo ’88-’93 e della commissione stragi degli anni ‘90;

3)    di indagare, se non fosse stato ancora fatto, sul viaggio di Borsellino in Germania.

Chi ha da dare un contributo vero in questa direzione lo dia sapendo di rendere un servigio alla Repubblica già violentemente tradita in quegli anni, senza inventarsi campagne di stampa che finirebbero per ritorcersi contro i seminatori di zizzania.

Pubblicato su ” Libero” il 21-10-2009

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