Scambio pace fiscale-concordato per far ripartire davvero il Paese

Pubblicato su ” Il Sole 24 ore” il 20 dicembre 2013

Hanno ragione da vendere quanti dicono che  serve una svolta nella politica economica. Sino ad ieri nella maggioranza di governo c’erano forze che strumentalmente facevano richieste poco coerenti con il binomio crescita-disavanzo ridotto. Oggi l’ alibi è caduto. Il governo è politicamente più coeso e può essere messo in crisi solo se uno dei segretari di partito dovesse chiedergli di realizzare solo il programma del suo partito dimenticando che alla guida del paese c’è una coalizione. Chiedere una svolta significa indicare obiettivi prioritari e strumenti per raggiungerli nel tempo più breve possibile. I due obiettivi più urgenti sono riavviare una crescita significativa e un aumento dell’occupazione. Per troppi anni ci si è curati nel rapporto deficit/pil del solo numeratore (il disavanzo) e molto poco del denominatore (la ricchezza prodotta) tanto che dal 1995 l’Italia non cresce più. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e sotto quelli dei mercati che guardano più alla sostenibilità del debito che non alla quantità dello stock del debito stesso. La crescita, dunque, al primo posto. Chi crea ricchezza ed occupazione è l’impresa di ogni tipo e, nei momenti recessivi, lo  Stato può e deve dare un contributo all’occupazione per impedire un avvitamento sociale ed economico pericoloso. È possibile riavviare una crescita economica senza risorse? Assolutamente no se si eccettua l’efficacia economica di una sburocratizzazione immediata e tranchant. Lo strumento più semplice e più rapido è la creazione di una “carta aziendale” che indica gli obblighi dell’impresa con controlli postumi da parte della pubblica amministrazione. In tal senso è stato presentato un emendamento dal sen. Naccarato d’intesa con l’on. Tabacci e i suoi parlamentari e con chi scrive. Il governo si è impegnato ad inserirlo in queste settimane in un altro provvedimento sotto la spinta unanime della commissione Bilancio del Senato. Vedremo. Il reperimento delle risorse? Continuare con piccoli aumenti di tasse o con anticipi paradossali su profitti che si devono ancora fare, porta il paese prima ad un affanno crescente e poi alla rovina. Mai come oggi bisogna fare una offensiva di persuasione verso la ricchezza nazionale perché dia anche essa un contributo  determinante per un nuovo start-up della nostra economia che non può basarsi solo su di una crescita delle esportazioni vanificata dal crollo della domanda interna. L’offensiva di persuasione  non è uno strumento recessivo come la patrimoniale ma è chiedere un contributo volontario a fondo perduto da un minimo (30mila euro?) ad un massimo (5mln di euro?) a tutti, persone fisiche o giuridiche, sulla base del reddito o del fatturato di ciascuno da versare in due annualità alla banca d’Italia per l’ammortamento dei titoli del debito pubblico (gettito stimato oltre i 120 mld di euro, oltre 8-9 punti di pil), liberando così risorse dalla spesa per interessi e con il calo dello spread invertendo per la prima volta la direzione di marcia del debito accumulato (circa 10mld di euro in ragione d’anno). Per questi contribuenti volontari si applicherà un concordato preventivo sulle tasse da pagare per il successivo triennio senza accertamenti fiscali a condizione che reddito e fatturato crescano del 2% l’anno. Insomma uno scambio pace fiscale-concordato preventivo per salvare il paese, l’occupazione e la stessa legittima ricchezza. Prima che i farisei si straccino le vesti urlando ad un condono che condono non è va forse ricordato che l’istituto del concordato è quello che sta tentando di fare il governo con la Svizzera sui capitali italiani depositati nelle sue banche, è quello che lo stesso governo ha tentato di fare con l’area del gioco d’azzardo ed è quello che Equitalia in maniera intelligente e positiva utilizza regolarmente. Le risorse così liberate (almeno 10 mld di euro l’anno) darebbero fiato agli investimenti pubblici e alla  riduzione del cuneo fiscale e farebbero ripartire l’economia con un aumento del gettito fiscale che a sua volta potrà  finanziare la riduzione delle tasse innescando così un processo virtuoso mettendo anche sotto controllo i conti pubblici che senza crescita del 2% del pil non saranno mai risanati.   Può darsi che a molti questi suggerimenti non piacciano. Nessuno si offenderà a condizione, però, che vengano proposte in alternativa altre misure che abbiano la stessa efficacia ed equità, perché finora il costo delle manovre correttive e dei 6 anni di recessione è stato tutto scaricato sulla parte più debole delle famiglie e delle imprese, e cioè sul ceto medio e sulla parte più povera del paese. Cosi non si può nè si deve continuare.

 

 

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