Siena bifida

pubblicato il 31 -12-2013 su ” Il Foglio”

Al direttore

Dopo Telefonica ecco il turno del Monte dei Paschi di Siena, la più antica Banca del mondo (1472, venti anni prima della scoperta dell’America) e attualmente la terza banca del Paese nella cui assemblea si è consumato uno scontro con un esito largamente prevedibile tra il management (Profumo-Viola) e l’azionista di maggioranza ( la Fondazione). In entrambi i casi si è notato un silenzio assordante del governo e delle stesse forze politiche, tutte nessuna esclusa. Il pensiero unico liberista che ha soffiato da 15 anni a questa parte su tutta la penisola determinando guasti irreversibili dirà che negli assetti di società, quotate e non, il governo non c’entra perchè è il mercato a dettare le convenienze di ogni singola operazione mentre le autorità di controllo devono garantire il rispetto delle regole. Un pensiero sempre più “démodé” viste le devastazioni succedutesi in tutti i paesi occidentali che per venti anni hanno sposato l’assioma di quel pensiero liberista che indica nel mercato il più efficiente redistributore della ricchezza prodotta. Nella storia moderna mai diseguaglianze furono così vaste e così destabilizzanti come quelle verificatesi in questi ultimi quattro lustri non solo in Europa ma nel mondo. Dinanzi allo sfascio bancario internazionale frutto di un capitalismo finanziario selvaggio proprio i paesi più all’avanguardia nel praticare il liberismo come una religione (Usa, Gran Bretagna e Olanda) sono stati costretti dalla forza delle cose  a nazionalizzare banche e assicurazioni per evitare guasti maggiori. Ma torniamo a casa nostra ed in particolare alla guerra che si sta svolgendo sulla vicenda del Monte dei Paschi nel silenzio colpevole del governo e della politica tutta. Può sembrare strano, ma questa volta riteniamo che le parti in causa abbiano entrambe ragioni da vendere. Il management, con Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, spinge per un’immediata ricapitalizzazione visti i risultati negativi con il quale si chiuderà il bilancio del 2013 e considerati i pagamenti che dovranno essere fatti da qui a qualche mese per i cosiddetti Monti-bond, i prestiti, cioè, fatti alla Banca dallo Stato. Ha ragione da vendere, però, anche la Fondazione che avrebbe visto pressocchè annullata la propria presenza nell’azionariato della Banca se l’aumento del capitale di tre miliardi fosse stato fatto nel mese di gennaio. La triste e complicata vicenda dell’MPS degli ultimi tempi, infatti, non ha messo in ginocchio solo la Banca ma anche la Fondazione cui si deve rispetto come a qualsiasi azionista che, nel caso specifico, è l’azionista di maggioranza. Da che mondo è mondo quando due parti in contrasto hanno entrambe ragione c’è quasi certamente la responsabilità di un terzo che, nel caso specifico, non può che essere la politica la quale, dopo aver succhiato per anni valore economico alla banca ed alla Fondazione nel silenzio colpevole della stessa Banca d’Italia, volta la testa dall’altra parte nel momento più difficile per l’una e per l’altra. La follia di ieri e  di oggi della politica locale impone al governo di essere presente in questa delicata vicenda se non vuole che il controllo della terza banca del Paese passi da mani italiane a quelle delle quattordici banche presenti nel consorzio di ricapitalizzazione guidato dalla svizzera UBS e tra le quali di italiane c’è solo Mediobanca. Diciamo subito, onde evitare che i liberisti di turno si straccino le vesti, che non ci sarebbe nulla di male in questa eventualità  se l’Italia in questi venti anni avesse proiettato il proprio sistema bancario e finanziario sul piano internazionale con acquisizioni e partecipazioni piuttosto che perseguire una colpevole internazionalizzazione passiva, lasciando, solo per citare i casi maggiori, che i francesi di  BNP- Paribas acquistassero quella che veniva definita la Banca dello Stato italiano, la vecchia Banca Nazionale del Lavoro, o che gli stessi francesi del Crédit-Agricole acquistassero Cariparma con un’ulteriore dote di sportelli per uscire da IntesaSanPaolo senza alcuna reciprocità. Tutto questo non è accaduto nè nel settore finanziario nè in quello manifatturiero e l’Italia sta diventando ogni giorno che passa una sorta di colonia di rango del capitalismo europeo e internazionale. Di qui, allora, l’esigenza di capire che mai come nel caso del Monte dei Paschi il governo debba intervenire o trasformando i Monti-bond in prestiti convertibili a cinque anni gli stessi sono già convertibili  o mobilitando in qualche modo quel fondo strategico della Cassa Depositi e Prestiti che non fu “inventato” per acquistare Versace o partecipare al capitale di Eataly, due eccellenze italiane certamente non strategiche e capaci di vivere di proprio, ma per difendere asset strategici come recitano le norme di legge istitutive del fondo e il suo stesso statuto. Guardare ancora una volta le stelle mentre il paese perde il possesso di asset strategici non potrà più essere considerata una colpa ma un dolo da denunciare e perseguire.

 

 

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