Consigli a Renzi /1

Pubblicato il 26 febbraio 2014 su Il Foglio

Siamo dunque al “redde rationem”. Il giovane sindaco di Firenze che ha sollevato tante attese e tante speranze e che è stato subito circondato con garbo da personaggi dai quali speriamo possa presto liberarsi, è chiamato ora al governo del paese. Abbiamo sentito giudizi uguali e contrari come sempre capita all’apparire di forti personalità politiche ma questa volta l’arrivo di Matteo Renzi a Palazzo Chigi si incrocia con uno stato del paese allarmante. La disoccupazione crescente, l’impoverimento progressivo del ceto medio frutto di una crescita che manca dal 1995 (diciotto anni !!!), un parlamento sempre più in balia di “ammuine borboniche” e di dilettanti che pensano, in un delirio onirico, di essere o i nuovi Lenin o i nuovi de Gasperi, una burocrazia smarrita e vilipesa dopo ben tre riforme che l’hanno coinvolta (Bassanini, Nicolais, Brunetta) sono gli elementi principali che hanno gettato il paese sull’orlo della disperazione. L’incrocio tra questa disperazione e la speranza che Renzi ha sollevato è il nodo che può liberare il paese facendolo ritornare ad una normalità sostenibile o strangolarlo definitivamente. È questo il motivo di fondo, al di là delle simpatie e antipatie di ciascuno, che ci fa dire che Renzi va aiutato, in particolar modo nel suo percorso iniziale privo, com’è, della più piccola esperienza di governo. E piaccia o no, la giovinezza non basta a governare un paese ma deve essere accompagnata da “virtute e conoscenza”. Aiutare Renzi, però, non significa praticare il vecchio vizio italico del “servo encomio” che in genere precede “il codardo oltraggio” quando poi un leader cade nella polvere. Aiutare Renzi significa dargli idee, correggere argomentando la sua azione politica quando essa è ritenuta lesiva dell’interesse del paese, incoraggiarlo o frenarlo quando un successo o una sconfitta, i due grandi impostori dell’uomo, rischiano o di ampliare il suo ego già troppo sviluppato o deprimerlo sino a piegarlo. Mai come questa volta aiutare un presidente del consiglio significa aiutare un paese che si sta inginocchiando sotto il peso dei suoi ritardi e delle sue contraddizioni. Noi siamo stati tra i pochissimi che hanno criticato il modello della legge elettorale che per il combinato disposto di 3 elementi maggioritari (la soglia di accesso, le circoscrizioni piccole ed il premio di maggioranza del 15%) affiderà in via permanente il governo del paese ad una minoranza. E se i protagonisti di questa minoranza del paese che diventa maggioranza parlamentare per gli artifizi normativi, non viene eletta ma addirittura nominata con le liste bloccate, si instaura un circuito autoritario terribile che non si vedeva dai tempi del fascismo. Nessuna governabilità impone questo livello di autoritarismo come dimostrano le democrazie europee, a cominciare da quella tedesca e, per finire a quella americana nella quale un presidente eletto direttamente dal popolo deve fare i conti con l’altro sovrano democratico, il Congresso, la cui maggioranza è spesso nella mani degli oppositori del Presidente. Alla stessa maniera l’abolizione di fatto del Senato della Repubblica è un’oscenità che va ripensata. È possibile ridurre il numero dei senatori e dei deputati, è possibile diversificare alcune funzioni tra le due camere, ma immaginare un Senato delle autonomie quando non siamo un paese federale e quando la classe dirigente regionale e comunale non ha dato prove entusiasmanti sul terreno della dignità politica, non è un errore, è un delitto contro la Repubblica. Intanto sarebbe possibile da subito applicare norme regolamentari già presenti nelle due camere come, ad esempio, l’esame delle leggi nelle commissioni in sede legislativa o in sede redigente ove l’aula viene richiamata solo a dare il voto finale con annesse dichiarazioni. In tal modo si velocizzerebbe il processo legislativo eliminando, tra l’altro, quegli scontri vergognosi in aula che hanno reso il nostro Parlamento simile ai parlamenti di quei paesi orientali che sono ancora all’alba della democrazia. Il governo del paese chiede oggi provvedimenti urgenti sul terreno economico, finanziario e produttivo nonché nel versante di una sburocratizzazione essenziale per la vita delle imprese ma non chiede frettolose riforme costituzionali che possono produrre ferite mortali al nostro sistema democratico. Su questo terreno sperimentare riforme progressive (riduzione parlamentari, riforme regolamentari) è la strada più saggia. Sappia il presidente Renzi che l’applauso per una cosa realizzata in fretta svanisce come neve al sole mentre la storia ci insegna che procedere con la giusta speditezza spogliandosi della diabolica tentazione “dell’ipse dixit” è la strada maestra per tirare il paese fuori dalle secche diventando così, forse, un nuovo padre della patria.

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