Portiamo Lampedusa in Libia

articolo pubblicato su La Stampa il 24 febbraio 2009

La rivolta dei clandestini ammassati nel centro di Lampedusa è un’ennesima occasione per accuse reciproche tra centro-destra e centro-sinistra. Un’infinita e drammatica telenovela iniziata con la Bossi-Fini criticata dagli uni ed esaltata dagli altri. E intanto il numero dei clandestini che sbarcano aumenta. Ognuno quando è all’opposizione promette ciò che una volta al governo non sembra essere in condizione di mantenere. Ciò che si stenta a comprendere in questa lunga stagione politica è che ci sono problemi difficili da affrontare e da risolvere per chiunque sia al governo. Il rinfacciarsi responsabilità non serve se non a nascondere ciò che si poteva fare e non è stato fatto. Va insomma riscoperta una più forte cultura di governo. Ma torniamo ai clandestini e ai continui sbarchi a Lampedusa. Questi barconi partono dalle coste di Tunisia e Libia. Con quei paesi bisogna stringere intese forti di tipo nuovo. Dopo anni di accordi, risultati poi quasi sempre inutili, bisogna chiedere a Libia e Tunisia la costruzione e il mantenimento di alcuni centri di accoglienza nel proprio territorio. Questo consentirebbe di trasferire ad horas chi sbarca sulle coste italiane nei centri tunisini e libici, il cui finanziamento per il personale, il vitto, la manutenzione e tutto ciò che occorre sarebbe a totale carico nostro. Saranno le autorità di quei paesi a rimpatriare i clandestini una volta accertatene la provenienza. Un’operazione che costa come costa il mantenimento dei nostri centri di Lampedusa e quelli sparsi nel resto del territorio italiano. Un accordo di questo genere, però, non potrà bastare alla Tunisia e alla Libia che chiederanno qualcosa in più. Che dev’essere uno o più centri di addestramento professionale per garantire, in maniera privilegiata, a centinaia di libici e tunisini un ingresso legale con una possibilità di rapida occupazione. Se riuscissimo in questa intesa a far partecipare in parte anche l’Unione Europea, potremmo garantire un flusso immigratorio legale per migliaia di libici e tunisini. Non sfugge a nessuno che da un lato l’immediato rimpatrio di clandestini sbarcati in Italia nei centri libici e tunisini e dall’altro un flusso ordinato e legale attraverso uno o più centri di formazione professionale non renderebbe più conveniente il crimine della clandestinità. Conosciamo bene gli arabi e la loro capacità negoziale per cui se a questa reciproca convenienza dovrà essere aggiunto qualcosa, nessuno si tirerà indietro. L’idea di un pattugliamento congiunto delle coste lascia il tempo che trova perchè è più nella logica repressiva che sinora non ha portato a nulla piuttosto che nella direzione di fare emergere congiunte convenienze per risolvere il problema. I ministri dell’Interno e degli Esteri hanno tutti gli strumenti per portare a casa un accordo di questo genere, sanando una ferita nella quale si mescolano problemi di sicurezza, di solidarietà, di lavoro e di accoglienza che insieme costituiscono una miscela esplosiva che spinge le forze politiche a urlare, accusandosi reciprocamente. L’immigrazione clandestina nasce da un crimine e sull’onda di quel crimine diffonde insicurezze d’ogni tipo. Va estirpata per difendere innanzitutto quei disperati che cercano solo di sopravvivere sognando un lavoro in una società più giusta. La direzione indicata da noi coniuga diritti e doveri degli individui e degli Stati, offrendo a ciascuno una convenienza e un obbligo.

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