Da mesi l’attenzione dell’opinione pubblica, degli operatori economici e del Governo si concentra sulle gravi difficoltà del nostro Paese e su quelle che l’Europa incontra nella governance, nella crescita e nel collocamento dei debiti degli Stati membri. Queste difficoltà sono tutte da ricondurre, direttamente o indirettamente, alla crisi finanziaria internazionale che coinvolge non solo l’Europa ma anche gli Stati Uniti e gran parte degli altri paesi, sia avanzati sia emergenti. Nessuno si sofferma però sulle cause di questa crisi che perdura ormai da quasi tre anni, innescata negli Stati Uniti dai mutui sub prime, punto di detonazione di una miscela esplosiva che si è andata formando negli ultimi decenni.
Dalla metà degli anni ottanta è stata avviata un’attività di deregolamentazione dei mercati finanziari: sono state allentate le regole esistenti; sono stati eliminati alcuni divieti e le diversità che caratterizzavano l’azione delle banche commerciali da quella delle banche di affari. Si è venuta affermando la convinzione che i mercati finanziari fossero in grado di autoregolarsi, di assicurare un’allocazione ottimale delle risorse reali e quindi di garantire un elevato tasso di sviluppo dell’intera economia mondiale. Questi sviluppi combinandosi con la globalizzazione dei mercati, che negli anni novanta con la libera circolazione dei capitali si è estesa ai prodotti finanziari, ha portato a uno sviluppo abnorme della finanza. In pochissimo tempo si è realizzata una mutazione genetica della finanza internazionale. Essa da infrastruttura al servizio della produzione di beni e servizi è divenuta una industria che ha perseguito e continua a perseguire unicamente una finalità: la realizzazione di grandissimi guadagni di natura meramente monetaria. Il processo produttivo di questa nuova industria erano i mercati deregolamentati, la nuova “silicon valley” finanziaria, in cui si formavano strumenti sempre più complessi e sofisticati: dai derivati ai futures; la leva finanziaria consentiva di accrescere le masse investite e quindi i profitti; si creava così un terreno sul quale si realizzavano spesso complicità tra agenzie di rating, banche d’affari, banche commerciali e amministratori di grandi aziende, nel silenzio stupito delle autorità di controllo. Questa mutazione genetica ha sottratto per quasi 20 anni importanza e valore economico all’industria manifatturiera, ai servizi, al commercio e ai lavoratori di questi comparti.
Ne è derivata la formazione di grandi ricchezze, che hanno attribuito grande potere politico a una ristretta cerchia di elite finanziarie in grado di influenzare i governi, gli organi di informazione, gli amministratori di grandi aziende; tale trasformazione ha però nel contempo prodotto l’impoverimento del ceto medio dei paesi occidentali entrato in competizione con i lavoratori dei paesi emergenti. Questo processo in sostanza ha portato ad un tempo all’arricchimento di pochi e all’impoverimento di grandi masse di lavoratori, iniziando a corrodere finanche la democrazia dei paesi occidentali faticosamente raggiunta nei decenni precedenti. Non a caso i paesi emergenti che oggi sospingono la crescita dell’economia mondiale sono tutti caratterizzati da sistemi politici autoritari o comunque molto lontani dai modelli di democrazia occidentale.
Gli effetti della trasformazione in atto sul terreno sociale ricordano molto da vicino quelli prodotti dalla prima fase dell’industrializzazione alla fine del secolo XVIII che pose le premesse per le successive ideologie autoritarie. Tutto ciò deve essere messo subito al centro della discussione in Europa e portato al tavolo del G20. Troppo tempo è passato discutendo degli effetti per poter indugiare ancora sulle cause come purtroppo finora è avvenuto non solo in Italia ma anche in Europa e nel G20.
Elemento essenziale per assicurare stabilità finanziaria in un mondo globalizzato è una politica economica in grado di conciliare lo sviluppo dei paesi arretrati con il mantenimento di livelli di benessere adeguati nelle economie avanzate e riassicurare nel contempo un graduale riassorbimento degli squilibri delle bilance dei pagamenti correnti. Per il conseguimento di questo obiettivo è necessario anche un nuovo ordine monetario. A 40 anni di distanza dagli accordi di Bretton Woods e in un mondo globalizzato l’anarchia valutaria penalizzerebbe una crescita economica stabile e virtuosa dell’economia mondiale, formando un humus favorevole alla finanziarizzazione dell’economia e ai successivi guasti che già sono sotto gli occhi di tutti. Non potendo più tornare a un sistema di cambi fissi l’unica strada percorribile, almeno a nostro giudizio, è quella di un sistema monetario mondiale sul modello del vecchio serpente monetario europeo stabilito tra le monete delle grandi aree e quelle partecipanti al G20. In assenza di una politica economica mondiale adeguata ai bisogni delle diverse categorie di paesi, di un nuovo ordine monetario e soprattutto di una immediata, diversa e severa disciplina dei mercati il capitalismo finanziario rischia di soffocare l’economia reale, con conseguenze disastrose sul terreno sociale e politico.
Pubblicato su ” Il sole 24 0re” il 12 gennaio 2012
In sintonia totale,On.le Pomicino… Cordiali saluti,
Tiziano Muliere.