Il leaderismo ha fatto danni. Serve lo spirito del ’90-’91

Pubblicato sul “Corriere del mezzogiorno” l’8 marzo 2013

La tragedia del rogo che ha mandato in fumo la città della scienza sembra  il simbolo atroce di una città che da vent’anni decade progressivamente somigliando sempre di più alla tormentata “striscia di Gaza”. Una tragedia umana, civile e sociale senza che sia in atto una guerra  guerreggiata come nella lontana e cara Terra Santa. Ma forse la guerra  a Napoli, alle sue bellezze e alle sue ricchezze è portata innanzitutto dalla camorra e dalle sue etnie o subspecie e, poi, a seguire a breve distanza, da una progressiva decadenza della sua classe dirigente. Ha ragione da vendere Giuseppe Galasso quando descrive Napoli come una sorta di buco nero nel mezzogiorno con una sua  specificità ancora più drammatica di quella meridionale. Galasso ha il coraggio del politico di razza e dello storico autorevole e registra giustamente come tutto ciò che sa di modernità a Napoli è stato ideato e costruito nel trentennio ’61-’91 facendone,  per brevità, un parziale elenco ( non vanno dimenticate il centro aerospaziale, l’ampliamento produttivo di Alenia, il Tarì insieme a tante altre cose). Un’altra annotazione, se l’amico Galasso me la consente, è quella inerente la metropolitana di cui Bassolino e Cascetta hanno lasciato passare nell’opinione pubblica una sorta di  primogenitura. La metropolitana, invece sia nella ideazione e progettazione che nell’avvio dei lavori è figlia di quel trentennio tant’è che il primo stanziamento di 500 miliardi di lire lo determinò  la leggendaria commissione bilancio della camera dei deputati di quegli anni guidata dal sottoscritto nella finanziaria del 1986. A seguire, e sino al 1992 ebbi la possibilità, da ministro del bilancio, di stanziare altri 100 miliardi di lire l’anno. Antonio Bassolino, giunto alla Camera nel 1987, votò sempre contro ogni provvedimento per Napoli in dissenso anche dal suo gruppo senza il contributo del quale non avremmo potuto fare ciò che Galasso giustamente ricorda in quegli anni ed in particolare negli anni ‘80. Ma questa è storia Patria e non vale la pena di attardarsi più di tanto se non per un punto che attiene al presente ma innanzitutto al futuro di questa città che tutti amiamo e disprezziamo nello stesso tempo. Il punto da cui partire per comprendere la decadenza di Napoli è il  domandarsi, con uno spirito costruttivo, cosa sia accaduto a Napoli perché la sua classe dirigente rotolasse sempre più in basso in quanto a capacità politica, fierezza civile e attività amministrativa. Insomma che cosa è avvenuto negli ultimi 20 anni perché ciò accadesse? Se seguissi una sterile vis polemica elencherei i due o tre personaggi politici che in questi anni sono stati al governo del Paese, del Comune e della Regione, ma non farei un atto d’amore per Napoli. Ed inoltre ogni responsabilità personale si muove sempre in un contesto generale nel quale  allignano responsabilità comuni quantomeno in termini omissivi. Così è stato in 20 anni a Napoli offesa da un culto della personalità ai limiti del ridicolo che puntualmente è passato, senza batter ciglio, dal servo encomio al codardo oltraggio. E in tutto questo ventennio la cultura, la borghesia imprenditoriale, ahimè così debole, la magistratura inquirente, larga parte dell’informazione ha portato oro, mirra e incenso a tutto ciò che altro non era che decadenza civile, culturale, politica che stava mettendo Napoli in ginocchio. Ed allora, ripeto a me stesso, cosa mai è successo in questi 20 anni perché camorra, inadeguatezza politica ed amministrativa la facessero da padroni  a Napoli? E’ successa una sola cosa che è alla radice dello sfarinamento culturale e politico della città, la scomparsa dei partiti con la loro capacità di selezione darwiniana della classe dirigente. Io sono nell’età in cui posso accentuare la mia tradizionale impertinenza portandola al limite massimo possibile per spiegare meglio con un esempio cosa intendo dire. Perché il Giorgio Napolitano degli anni ’80, autorevole capogruppo Pci alla Camera dei deputati, poteva dare una mano alla città mentre il Napolitano ministro dell’interno nella seconda metà degli anni novanta, leader politico e poi presidente della Repubblica non fu capace di fare altrettanto? Perché negli anni ottanta c’erano partiti democratici che, pur nella loro diversità e battaglia politica sapevano trovare quel minimo comune denominatore nell’interesse della città. Dopo il 1992 ci fu, invece, quel ridicolo liderismo contrabbandato per modernità e difeso con la forza della paura dalla magistratura inquirente, incapace di mobilitare energie intellettuali, sindacali e politiche come Galasso ed io potemmo fare nel 1990-91 chiamando tutti a collaborare per un disegno strategico della Napoli futura  che partorì quella che fu chiamata Neonapoli all’interno del cui programma c’era Bagnoli con le sue speranze e le sue aspettative. L’ultima proposta di Galasso coglie quello spirito che ci animò nel 1990-91 e che resta l’ultima sponda per ricercare, con la forza della democrazia governante, quel minimo comune denominatore per dare alla città una nuova speranza facendo piazza pulita di liderismi sempre più piccoli e sempre più umoristici, di annunci roboanti e di insulsaggini culturali e politiche di protagonisti incolti e intollerabili. E su questo versante l’informazione può dare un contributo non di poco conto.

 

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