Il brutto ghigno antidemocratico dietro la farsa dei “soliti ignoti” di Grillo

Pubblicato il 05-03-2013 su ” Il Foglio”

Al direttore-Siamo nel pieno di una commedia all’italiana con il prevedibile esito di un finale tragico. La elezione di 160 parlamentari del movimento 5 stelle le cui facce sono ignote alla stragrande maggioranza degli italiani è un fatto già di per sé comico. Questa elezione “di ignoti” sol perché il Gran Khan del loro movimento non ha voluto che l’opinione pubblica li conoscesse e li interrogasse in campagna elettorale, ha un profilo inquietante ed è figlio di una balorda legge elettorale senza preferenze ma anche della  volontà  di una coppia, Grillo e Casaleggio,  di possedere la testa e il cuore di questi neoeletti. La nostra considerazione non cambia un giudizio espresso oltre un anno fa sul servizio che Grillo stava facendo alla democrazia catturando un disagio crescente istituzionalizzandolo. Come spesso capita in politica, però, sorge e si consolida l’eterogenesi dei fini. Quel movimento 5 stelle che rendeva un servizio alla democrazia governante rischia di affondarla sin dalle prime battute del nuovo Parlamento. Il tutto nel silenzio complice di buona parte degli intellettuali italiani e dei maggiori opinionisti dell’informazione che sembrano voler ripercorrere l’italico vizio del servo encomio. Qui non si tratta di condividere o meno questa o quella parte del programma del movimento di Grillo che usa, con sapienza, parole e concetti che parlano alla pancia del Paese. Abolizione dei rimborsi stramilionari ai partiti, aggressione alle banche e in particolare a quelle tedesche e francesi in un rigurgito autarchico e un referendum “ on line” sulla nostra permanenza nell’euro sono concetti semplicistici che attecchiscono facilmente in una società in affanno. Ed  è qui che non ridiamo più perché abbiamo netta la sensazione che dietro Grillo e Casaleggio, non sappiamo se a loro insaputa, appare il grottesco mostro di un nuovo autoritarismo che partendo dal nuovo milite ignoto,  il  “cittadino-parlamentare” con 5 stelle,  attende messianicamente il suo Napoleone. No, non ridiamo più e spieghiamo il perché. L’idolatria della rete innalzata dal suo profilo di nuovo strumento di informazione al ruolo di una nuova Bibbia democratica va subito respinta e “spernacchiata” come si sarebbe dovuto fare 20 anni prima con i riti celtici di Bossi e il battesimo con l’acqua della sorgente del Po. La rete è solo una piazza virtuale che accanto a spunti e considerazioni intelligenti, registra uno tsunami di banalità, di sciocchezze e di umoralità che ne fa, come tutte le piazze di ogni epoca, uno strumento pericoloso. Non è un caso che la piazza sia lo strumento più utilizzato dai sistemi autoritari, da quelli della Corea del nord a quelli di Teheran. Certo, la piazza è anche uno strumento rivoluzionario contro le dittature ma se il suo ruolo è permanente finisce per cacciare un padrone solo per farne un altro come sta accadendo in Egitto e in quasi tutto il nord Africa. La rete è una piazza permanente e come tale deve essere “filtrata” da una classe dirigente che rischia di passare dall’utopia di una democrazia diretta e liquida (ma che cos’è?) ad una dittatura solida per sfuggire a quella “decadente” democrazia rappresentativa che non ha, invece, alternativa in una società moderna. Ed ancora, che significa essere capo di un movimento politico senza  essere presente nelle aule del Parlamento che resta il luogo della sovranità popolare già ampiamente minacciata dalla invadenza della forza della finanza e dal suo intreccio con la grande informazione? È il disprezzo dei sistemi parlamentari? E se sì, qual è il modello democratico delle istituzioni della Repubblica che Grillo propone? I partiti sono morti? E quali sono i nuovi protagonisti di una stagione politica diversa secondo Grillo? Forse un movimento che nasce dalla rete guidato da un santone e dal suo ispiratore, che per divertirsi spesso si incappuccia? I nuovi deputati e senatori devono essere donne e uomini liberi che eleggono democraticamente i propri vertici vincolati tra loro da una disciplina di partito nel voto ma non nel pensiero o, al contrario, devono essere un branco di persone nel quale ruoli e funzioni cambiano incessantemente per cui si taglia alla radice la possibilità di una crescita politica di alcuni di loro per lasciare tutti, e per sempre, asserviti al santone ed al suo guru? E se non è questo il modello perseguito, se noi sbagliamo, insomma, quale altro è il modello democratico di Grillo? Noi abbiamo solo una penna e la cortesia di un direttore di giornale, ma non lasceremo nulla di intentato perché Grillo e Casaleggio rispondano a queste domande che precedono ogni valutazione sul programma. Noi non frequentiamo il monte Sinai e non abbiamo verità rivelate da diffondere ma la nostra inquietudine verso il movimento 5 stelle è cresciuta in maniera esponenziale nelle ultime settimane e si è accentuata quando abbiamo visto da un lato la precipitosa gioia per il suo successo da parte di banche d’affari come la Goldman Sachs e dall’altro il silenzio peloso di Casaleggio e di Grillo sull’eccesso della finanza internazionale e sulla necessità di disciplinare in maniera diversa i mercati finanziari per dare respiro all’economia reale e al benessere e delle popolazioni in un quadro democratico alimentato dalle libertà composte e responsabili dei parlamentari della Repubblica.

 

 

1 Comment on "Il brutto ghigno antidemocratico dietro la farsa dei “soliti ignoti” di Grillo"

  1. Gentile Onorevole Pomicino,
    permetta che esprima una riflessione sulla Sua analisi, premettendo che non ho votato Grillo.
    Lei nella sostanza, e con apprezzabile onestà intellettuale, avverte un pericolo di emergente autoritarismo: io dico che Grillo è l’esito ed il superamento di una crisi democratica che ci trasciniamo da venti e più anni.
    Risale al 1981 la famosa intervista in cui Berlinguer, facilitato dalla sua posizione di oppositore, denunciava la partitocrazia, cui ovviamente ascriviamo per quota parte anche il PCI, come fenomeno di emergenza democratica.
    Dopo dieci anni il PCI diventa PDS, e mi verrebbe da dire: “…e ho detto tutto….”: la scellerata miopia del PDS contribuì in maniera determinante a far sì che con tangentopoli un’intera classe dirigente, che oggi ci rimpiangiamo tranquillamente, fosse spazzata via per essere sostituita dal vuoto pneumatico.
    Venne poi la grande stagione della panacea del maggioritario, vera rottura democratica: si riduceva l’articolazione e la ricchezza del pensiero politico italiano ad una sommatoria di contraddittori soggetti destinati inevitabilmente a veti incrociati e, quindi, all’immobilismo. Col maggioritario si inaugurava la stagione del “notabilato”, del leaderismo, svuotando ulteriormente il dibattito interno dei partiti, e si finì con grandi nomi al posto dei simboli ma, soprattutto, il leaderismo rese possibile che una sola persona potesse determinare le sorti di un raggruppamento politico o ne potesse creare uno che in poco tempo ed in solitudine riesce a raccogliere 1/4 dei voti degli italiani.
    Degna di menzione anche la geniale intuizione, sempre dei partiti tradizionali, di far eleggere direttamente dal “popolo” il sindaco o il governatore della regione; viene meno il filtro dell’assemblea e ciò, traslato a livello parlamentare, farà dire all’unto del signore che tutto poteva perché “investito dal popolo”!
    Il pastrocchio dell’ultimo “ritocchino” costituzionale (art. 119) ha fatto saggiare la qualità delle mani che dovrebbero costruire una nuova architettura istituzionale.
    L’assenza totale di qualsiasi progettualità dei partiti ha inciso profondamente sulla democrazia italiana: ma lei ricorda quando Veltroni una settimana si proclamava clintoniano (quello, appunto, dell’abolizione Glass-Steagall) e la settimana successiva indicava in Tony Blair il guru della sinistra? Ma lei ricorda quando D’Alema risuscitò Berlusconi con la Bicamerale che doveva ridisegnare l’Italia e miseramente fasllita? Ovviamente lo ricorda, come ricorda che negli ultimi 20 anni probabilmente non abbiamo avuto un governo, a pensarci bene. Negli ultimi 20 anni siamo stati letteralmente trascinati passivamente dagli eventi senza incidere minimamente su alcun aspetto del nostro Paese, sul nostro assetto industriale, bancario ecc. L’unico atto è stato entrare nel sistema dell’euro (e annesse questioni doganali, delocalizzazione, perdita di competitività, interessi incontrollabili sul debito pubblico) senza il minimo dibattito, non dico pubblico, ma almeno a livello accademico e decisionale.
    I partiti sono diventati autoreferenziali, succubi di interessi esterni e specifici non mediati in un superiore interesse generale, impermeabili alla realtà della strada, con classi dirigenti selezionate non per capacità ma per provata fedeltà e sudditanza al capobastone. Salto per brevità tutta la questione dei mezzi di comunicazione e della gestione della Rai.
    Ultimo atto dello stato comatoso del sistema dei partiti è stato “delegare” Monti nel 2011.
    Questo è il quadro “democratico” che ci ritroviamo e che per reazione crea Grillo.
    Grillo non esisterebbe se non ci fosse il maggioritario, se non ci fosse il leaderismo, se non avessimo mezzi di comunicazione capaci di inventare personaggi effimeri (vedasi l’ultima creatura del Renzi); in una parola, Grillo non esisterebbe se avessimo partiti almeno mediocri. E non serve obiettare che è cambiato il modo di comunicare e, quindi, di far politica, perché sarebbe assurdo pensare che siamo inevitabilmente diretti verso un minor livello di democrazia perché c’è internet o la tv. Internet e la tv sono solo contenitori, mezzi.
    Questo è il quadro “democratico” in cui è stato possibile il sorgere di Grillo.
    Questo sistema è collassato e Grillo non poteva non nascere.
    I deputati e senatori grillini sono emeriti sconosciuti e profani come lo sono il 90% (o più?) degli attuali deputati e senatori: ha sentito questi ultimi sviluppare un ragionamento che non fosse la ripetizione dello slogan ufficiale del momento? E’ tutto da dimostrare che negli altri partiti, attualmente (bene puntualizzarlo in onore della prima Repubblica) ci sia un maggior dibattito democratico interno o che abbiano parlamentari con maggior preparazione politica, mentre è facile dimostrare il contrario. Insomma, è poi tanto facile peggiorare la situazione attuale?
    Affermare che Grillo sia un pericolo autoritario per la democrazia ha lo stesso valore che affermare aprioristicamente che egli sia la cura della crisi democratica e politica di questo Paese.
    Personalmente credo che Grillo abbia una precisa strategia che in minima parte ha svelato per precisi scopi di efficacia comunicativa (la politica ormai è ridotta a slogan) ; sa che ha poco tempo per poterla realizzare e l’unità e delle proprie truppe è al momento prioritaria rispetto ad ogni altra considerazione. Inoltre, credo che conosca benissimo pregi e limiti della rete e la portata retorica di certe affermazioni come quella della democrazia liquida, diretta ecc.
    Ma non è importante quello che io possa pensare del M5S.
    Quello che è importante è riconoscere come il PDL, il PD, Monti, hanno tutte le possibilità per sconfiggere sul piano politico Grillo: sarebbe sufficiente, come da Lei ricordato molto bene, che con una qualsiasi formula appoggiassero un governo che facesse almeno una riforma elettorale, un taglio ragionevole (e simbolico) del costo della politica, un alleggerimento fiscale. Tre cose, semplici e fattibilissime, che farebbero riflettere l’elettore medio italiano che è una persona ragionevole.
    Ma se dopo venti anni non riusciranno nemmeno in questo, gli italiani all’immobilismo (che sta producendo un lento ed inarrestabile declino) preferiranno muoversi con Grillo per andare almeno in qualche altro posto e, francamente, per un popolo di emigranti non sarebbe nemmeno avventurismo irresponsabile cercare di uscire dall’agonia di queste sabbie mobili.
    Cordialmente Ivan

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