Intervista di Costanza Rizzacasa a Paolo Cirino Pomicino pubblicata su ” Italia Oggi” il 10 maggio 2013
Il pd vive la contraddizione di non sapere cos’è. E non sapendolo, non sa dove andare. Mi sembra quasi di rivedere il famoso sketch di Totò e Peppino in Piazza Duomo, a Milano, quando chiedono indicazioni al vigile. Il PD e’ un organismo geneticamente modificato, privo di un’unica cultura di riferimento: vivo ma non vitale
Domanda: Fabrizio Rondolino ha scritto: “Il Pd è un non morto”.
Risposta:
Ha ragione. Prenda l’intervista di Veltroni di qualche giorno fa. Diceva ciò che il Pd non può essere, cioè ex Dc ed ex Pci, ma non diceva che cos’è. Non basta avere solitariamente un’identità. Bisogna che si formi un partito con quell’identità. Ma ciò che mi lascia sgomento è soprattutto il personalismo del Pd. Trovo folle e pericolosa la diatriba sull’indicazione di un segretario che dopo tre mesi dovrà essere cambiato. Saggezza vorrebbe che, dovendo convocare un congresso a breve , fino ad allora restasse segretario Bersani, con accanto un comitato di 4-5 persone rappresentanti di tutte le anime del partito. Non mi chieda chi, non è una questione di facce, ma di rappresentatività. Che senso ha accapigliarsi per pochi mesi? Forse sarebbe utile copiare almeno un pò della saggezza democristiana.
E’ tornata la Dc, e con essa Paolo Cirino Pomicino. Il più volte ministro della Prima Repubblica (al Bilancio con Andreotti, alla Funzione Pubblica con De Mita) sta vivendo una seconda giovinezza, complici soprattutto le incapacità altrui. E’ il più invitato ai talk tv, e quello che spesso fa le osservazioni più sagge, al di là di una leggera fissazione su Andreotti. Assiduo di Twitter è stato perfino sdoganato come “pop” da Gazebo, il programma di satira politica della gang di Zoro. E l’altra sera, intervenuto a Piazzapulita per parlare di Andreotti, ha letteralmente asfaltato i giovani di OccupyPd e molti degli ospiti presenti. “Come prevedibile Cirino Pomicino sembra un gigante sulle spalle di questi nani”, ha twittato lo scrittore Michele Dalai. Più sarcastico Tommaso Labate: “Cirino Pomicino ha rovesciato il noto adagio. Dopo una vita a razzolare male, adesso predica bene”. A tenergli testa, sui numeri, solo l’economista Tito Boeri, che poi l’ha invitato a scrivere su lavoce.info (“Tutto finito”, è stata la reazione di molti). La consacrazione alla fine della puntata, quando gli stessi di OccupyPd che aveva “fulminato” sono andati a chiedergli la foto. Lui, in un’intervista con ItaliaOggi finge di schermirsi .
D.
Come giudica l’atteggiamento dei giovani del PD come Renzi e Civati, che dicono no a tutto, quasi per partito preso? In particolare Renzi, che a furia di traccheggiare fa spazientire anche i fedelissimi.
R.
I giovani sono smarriti. Ognuno di loro ha radici culturali diverse, ma stanno in uno stesso partito. Siamo in un paese in disarmo.Ad esempio, ci può mai essere un partito che si chiama Scelta Civica? Lo smarrimento dei giovani dirigenti è comprensibile, com’è comprensibile la giovinezza istituzionale di Umberto Ambrosoli che esce dall’Aula del Consiglio regionale della Lombardia durante il ricordo di Andreotti.
D.
Ambrosoli però ha tutte le ragioni. Andreotti di suo padre disse che “se l’era cercata”.
R.
Vero, ma quando si commemora un ex presidente del Consiglio e uno statista, un uomo delle istituzioni deve rimanere ad ascoltare: le questioni personali, ancorchè gravi, devono essere messe da parte. Niente impediva ad Ambrosoli di fare successivamente una dichiarazione. Ma mentre Ambrosoli, in qualche maniera, per la sua giovinezza istituzionale può essere compreso, è invece incomprensibile che al funerale di Andreotti non vi fosse una sola persona del vecchio Pci. Questo dà il senso della decadenza della politica. Ai miei tempi, ad ogni evento luttuoso che colpiva un dirigente del Pd, la Dc era presente. Ai miei tempi, ad ogni evento luttuoso che colpiva un dirigente del Pci, la Dc era presente.
D.
Che ne pensa della decisione di Enrico Letta di portare i ministri in ritiro in un’abbazia? A Prodi non portò benissimo, diciamolo.
R.
Mi sembra quella rubrica di vignette della Settimana Enigmistica: “per rinfrancar lo spirito… tra un enigma e l’altro”. Per carità, male non fa. Ma ho difficoltà a comprendere la modernità di ministri che fanno spogliatoio.
D.
L’altro giorno su Twitter lei ha scritto: “Spiace dirlo, ma mettere tra viceministri e sottosegretari bocciati alle elezioni e presunti tecnici non è saggio. Pratica sconosciuta nel passato”. Nel frattempo, come presidenti delle commissioni ci ritroviamo i Galan, i Capezzone e i Formigoni. Non c’è un limite alle larghe intese? Al turarsi il naso?
R.
No. Le larghe intese tra forze popolari sono giustificate dall’emergenza, e caratterizzate dalla transitorietà e dall’esigenza di trovare un minimo comun denominatore per salvare il Paese. All’epoca noi avemmo come presidente di commissione anche il padre di D’Alema, rappresentante di un Pci ancora sovietizzato e che ancora in qualche modo sosteneva il Patto di Varsavia. Non è che se Formigoni è indagato è un reietto. Prendiamo Berlusconi, condannato in appello nel processo Mediaset. L’ha detto anche Peter Gomez del Fatto Quotidiano: i gradi di giudizio sono tre. Fino a quando Berlusconi è il capo di un grande partito e non ha una condanna definitiva con lui si dialoga. Altrimenti, se si decide di non dialogare col Pdl, si torni a votare.
D.
Ha letto l’intervista di Giuliano Amato al Corriere della Sera? Ha detto che il prelievo forzoso del 1992 era un “equivoco”.
R.
Amato è una persona brava e competente. Forse gli manca un po’ di coraggio. Dare la responsabilità a Giovanni Goria, che non c’è più, è stata una scivolata. Chiunque avesse suggerito alora l’idea del prelievo, il presidente del Consiglio era Amato e la responsabilità non può che essere sua.
D.
“Un ceto politico che se su Twitter legge 50 commenti negativi su di lei ne desume che il popolo la vede male”, ha detto Amato. E tutti hanno ironizzato, “rosica per il Colle”.
R.
In questo caso sono d’accordo con lui. La Rete è diventata il nuovo totem ideologico cui inchinarsi. Twitter è una piazza. Ma a guidare la società non può essere la piazza, né quella reale, né quella virtuale. Una classe dirigente degna di questo nome non sonda ogni due giorni gli umori di una parte, peraltro piccolissima, della popolazione attraverso la Rete. Una classe dirigente fa le scelte che ritiene utili ascoltando le tante organizzazioni in cui si articola una moderna società. Altrimenti si inverte l’onere della responsabilità. Quando è la piazza a guidare la classe dirigente e la società, si arriva al disastro. Pensi se all’epoca, quando abbiamo sottoscritto i patti di Roma per la Comunità Europea noi avessimo sondato gli italiani. Erano tutti contro, ci avrebbero detto di no. Dove saremmo oggi se li avessimo ascoltati? Inseguire il consenso immediato è sbagliato. Le scelte di una classe dirigente possono essere anche impopolari, sarà il loro risultato, nel tempo a creare o no il consenso.
D.
Amato ha detto anche che siamo passati dal governo dei Professori al Parlamento dei fuoricorso.
R.
Purtroppo ha ragione. Il Parlamento ha perso il ruolo che aveva sempre avuto nella storia della Repubblica. Per tanti motivi. Primo, per la crescita nei partiti di un leaderismo accentuato. Secondo, per il ricorso permanente dei governi degli ultimi dieci anni ai decreti legge. Terzo, per l’arrivo negli ultimi vent’anni di persone magari perbene e culturalmente attrezzate, ma assolutamente non formate dal punto di vista politico. Gente che prima di sbarcare in Parlamento non ha fatto alcuna esperienza negli enti locali e nella dirigenza di partito. Una classe politica priva di gavetta, anche perché, nel frattempo, sono scomparsi i partiti.
D.
Marco D’Ambrosio di Gazebo ha detto che Il Divo è un film su di lei. E’ d’accordo?
R.
Assolutamente no. Ricordo che all’epoca Paolo Sorrentino venne a trovarmi in ospedale. Gli dissi che era inutile fare un film che avrebbe ripetuto i soliti stereotipi. Per dire, la super scivolata in Transatlantico è una scena ridicola mai avvenuta. Ma da napoletano dovevo avere un profilo macchiettistico. Un’occasione perduta per il regista. Confesso il mio peccato: quando poi ho visto il film insieme a un giornalista della Stampa, mi sono leggermente addormentato durante il secondo tempo. E l’altra sera, quando l’hanno rimandato in onda nello speciale di Mentana, ho preferito vedere il ritratto che ad Andreotti ha dedicato Vite Straordinarie su Retequattro.
@CostanzaRdO
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