Il Cav., i giudici di Milano e la sfida più grande per il governo Letta

Governo Lettapubblicato il 28 giugno 2013


È difficile, davvero difficile non rimanere impressionati dalla durezza della sentenza di Milano su Silvio Berlusconi. Una durezza che rischia emotivamente di trasformarsi in violenza facendo riandare la memoria collettiva ad altre sentenze di vent’anni fa. Rimane indelebile, ad esempio, quel linguaggio di un presidente di collegio, tal Caccamo, che usò contro Bettino Craxi termini di inaudita violenza e li usò in nome del popolo italiano. Anche nella forma, oltre che nella sostanza, l’autonomia della magistratura, giudicante e inquirente, deve coniugare giustizia e senso della misura, responsabilità e senso delle proporzioni perché troppo importante per il rispetto e l’affidabilità del potere giudiziario è il comune sentire. E, spiace, dirlo nella requisitoria dei pubblici ministeri e nelle decisioni del collegio traspare, a torto o a ragione, un carico di faziosità che rischia di far trasformare la giustizia in vendetta. E non è cosa buona nè giusta, in particolare quando episodi di questo genere si ripetono più volte in un tribunale e in una corte di appello come quelli di Milano nei quali, è la nostra spiacevole e probabilmente sbagliata sensazione, si alternano sguardi di aquila e miopie da talpa. Detto questo, però, è anche giusto sottolineare gli errori politici di un primo ministro come Berlusconi che, parole sue, per rilassarsi aveva bisogno di convocare una o più volte la settimana frotte di giovani fanciulle, fosse anche solo per cene eleganti, nel silenzio complice di un cerchio di collaboratori non certo magico. Chi svolge una funzione pubblica di primo livello, purtroppo, ha molti doveri in più rispetto ai comuni cittadini a cominciare dall’annullamento di una vita privata che in un uomo di Stato è perennemente una vita pubblica. Se Sparta piange Atene non ride. L’ intera sinistra dovrebbe far proprio un credo liberale secondo il quale l’avversario politico si batte con la politica e non con altri mezzi tipo il ricorso alla ineleggibilità di Silvio Berlusconi peraltro già esaminato e respinto per ben 4 volte dalla Camera dei deputati. Toccò anche a noi, vent’anni fa, di zittire quegli inquirenti che cercavano di farci accusare esponenti dell’opposizione, addirittura con false verità, spiegando loro che, per l’appunto, gli avversari politici andavano sconfitti politicamente e non con delazioni e falsità. E consentiteci una impertinenza, battere politicamente Berlusconi non è poi neanche un compito difficilissimo sempre quando si sapesse di politica e dell’arte di governo. E veniamo all’altro punto che affligge il paese, quello della vita e della vitalità del governo Letta. Abbiamo sin dall’inizio espresso un giudizio positivo sul nuovo esecutivo non fosse altro che per l’età media dei ministri coniugata con esperienze già maturate da parte dei più e per le radici culturali e politiche di molti esponenti che vent’anni fa erano giovani dirigenti della Democrazia Cristiana. Oggi, però, dobbiamo avvertire il presidente del consiglio che la luna di miele volge al termine e il governo non può esaurirsi nella ricerca ragionieristica di qualche miliardo nelle pieghe di un bilancio come quello italiano per offrire qualche risposta occasionale a qualche alleato impaziente. Questo governo ha la forza politica per avere un colpo d’ala nell’affrontare il debito e affrontandolo trovare risorse importanti per un credibile progetto di sviluppo triennale. Ed ha anche la forza di trovare il coraggio per orientare il prossimo consiglio europeo a intraprendere la strada di una ripresa economica possibile mettendo sul tavolo questioni ancora più vitali di quelle sinora descritte per l’intera economia internazionale. In un mondo sempre più vuoto di idee e sempre più zeppo di interessi finanziari e speculativi, il coraggio di un nuovo pensiero politico ed economico è vincente anche se portato avanti inizialmente da un novello Davide contro il Golia degli interessi forti che allignano prevalentemente nei paesi a vocazione egemonica. Un quadro interno ed internazionale, come si vede, tutto interconnesso ma anche una sfida esaltante per un governo giovane e culturalmente attrezzato che non può immiserirsi nella strenua difesa d’ufficio degli F35 dimenticando che è l’intero comparto delle nostre forze armate che andrebbe ridotto rendendolo più efficiente e tecnologicamente più avanzato. Mai come questa volta la sfida di Letta è la sfida per l’intero paese.

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