Articolo pubblicato su “Il Foglio” il 12 luglio 2013
Lo scontro tra la Fiat e Diego della Valle sul nuovo assetto proprietario della RCS Corriere della Sera, il primo gruppo editoriale italiano, offre l’occasione per qualche considerazione di carattere generale. Innanzitutto la scomparsa da tempo in Italia di un gruppo di editori che avevano il proprio core business nell’editoria stessa come era nell’immediato dopoguerra quando i Mondadori ed i Rizzoli ne erano i principali esponenti attorniati da altri gruppi minori anch’essi integralmente dedicati all’attività editoriale. Da trent’anni a questa parte quella generazione è letteralmente scomparsa e il mondo produttivo italiano nei suoi esponenti di maggiore spicco ha compreso il potere insito nell’informazione della carta stampata e della televisione. Se si eccettua Berlusconi che fondò la televisione commerciale non come strumento di potere ma come un vero e ricco core business intrecciato con la pubblicità, il salotto buono del capitalismo italiano capì al volo l’immenso potere degli organi di informazione. Carlo De Benedetti acquistò da Scalfari la Repubblica, la Fiat, grazie anche alla cecità politica dell’amico de Mita, penetrò con tutto il suo peso nel Corriere, Caltagirone nel Mattino, nel Messaggero e nel il Gazzettino di Venezia e così via via tutta una serie di imprenditori e finanzieri occuparono con partecipazioni significative quasi tutti gli organi di stampa. Al momento l’eccezione sta nella televisione La7 passata da un gruppo industriale ad un editore vero qual è Urbano Cairo. Al momento, naturalmente, ma noi speriamo che quel momento duri alcuni decenni. In realtà questo lento appropriarsi dei maggiori organi di informazione ha reso la finanza e una parte dell’imprenditoria un nuovo potere capace, negli ultimi vent’anni, di surclassare il potere della politica tout-court che mai come in questi ultimi anni non regge un titolo di giornale e men che meno una vera e propria campagna stampa. Naturalmente alla crescita di potere dell’intreccio finanza-informazione si è contrapposta una crescente debolezza della politica e delle istituzioni modificando così, nei fatti, gli assetti democratici del paese. La debolezza della politica non è figlia di quel nuovo intreccio di potere quanto, piuttosto, della propria confusione culturale e della presenza, nei partiti, di un leaderismo proprietario e autoritario che ha raso al suolo ogni nuovo germoglio di classe dirigente. In questo nuovo equilibrio italiano di forze tra politica, economia e informazione (unico caso in Europa), si inserisce la battaglia sulla proprietà del Corriere. Bisogna dare atto a Diego della Valle di un coraggio inusuale nel mondo imprenditoriale italiano visto che il controllo della Fiat sul Corriere è sostenuto anche da autorevoli istituzioni finanziarie e da personaggi come Giovanni Bazoli. Noi riteniamo un errore questa iniziativa della Fiat non solo sul piano estetico (l’avvocato Agnelli mai avrebbe impegnato ingenti capitali Fiat nell’editoria mentre mandava in cassa integrazione migliaia di lavoratori con la prospettiva di chiudere anche stabilimenti) ma anche sul terreno più propriamente industriale ed editoriale. La Fiat già controlla un grande giornale come la Stampa ed è presente nel Corriere in maniera significativa oltre ad influenzare, con la sua concessionaria di pubblicità, tante altre testate. In una società moderna e composita strafare sul terreno di un potere,in particolare in quello dell’informazione, non è cosa saggia né utile, nè a se stessi nè al paese. Quando agli inizi degli anni 90 Berlusconi e De Benedetti tentarono di concentrare ognuno nelle proprie mani, un grande potere nel settore dell’informazione, Giulio Andreotti, e con lui l’intera politica, si adoperò non solo per la loro pacificazione ma innanzitutto per evitare una concentrazione esagerata nel settore dell’informazione. In un paese come l’Italia dove i cosiddetti poteri forti sono talmente intrecciati tra di loro da non garantire neanche sul terreno produttivo quel profilo democratico che una società moderna dovrebbe avere con la diversità degli interessi in campo, una concentrazione mediatica intrecciata così forte con l’economia e la finanza rischia di essere un vulnus democratico intollerabile. La politica di oggi è muta così come sono muti i comitati di redazione dei giornali interessati a testimonianza di un paese depresso e ripiegato su se stesso non solo sul terreno economico ma anche su quello più delicato della democrazia e della libertà. E pensare che qualcuno parla di privatizzare la RAI.
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