Pubblicato su “il Foglio” il 05 novembre 2013
Se non fosse firmato da Ernesto Galli della Loggia e se non fosse stato pubblicato sul Corriere l’editoriale di domenica scorsa avrebbe meritato un sorriso e nulla più. Invece quell’editoriale con quella firma e su quel giornale danno, a nostro giudizio e senza offesa per nessuno, la più tragica testimonianza della confusione in cui è precipitato il paese. Galli della Loggia, infatti, sollecita il partito democratico a fare una sorta di “outing” sugli errori della cosiddetta prima repubblica di cui è stato uno dei protagonisti quando si chiamava ancora PCI perché il disastro in cui oggi si trova l’Italia sarebbe figlio legittimo di quella “infausta stagione”. Un’assoluzione a tutto tondo delle follie degli ultimi vent’anni e un’accusa altrettanto generalizzata per un tempo lontano. Sembra quasi la critica postuma di un extra parlamentarismo degli anni ’70. Se non avessimo simpatia e rispetto per Galli della Loggia potremmo liquidare il tutto con una battuta. In questo ultimo ventennio, infatti, Galli della Loggia è stato uno dei protagonisti, con la sua indiscussa autorevolezza, nell’immaginare un sistema politico privo di ogni identità e di ogni cultura di riferimento come quello attuale, nel definire modernità un liderismo senza grandezza e senza comprenderne il suo distacco dai gruppi dirigenti peraltro selezionati e nominati con il criterio della cortigianeria e della fedeltà, senza avvertire, neanche per un momento, l’epico scontro che si sta svolgendo sul piano internazionale da 15 anni tra finanza e politica per la guida del mondo con il conseguente impoverimento del ceto medio dei paesi occidentali. Insomma molti politologi rischiano di non cogliere il cuore profondo del malessere del nostro paese e dell’Occidente. In una sorta di slancio onirico Galli della Loggia chiama a render conto dell’Italia attuale gli ultimi “mohicani”, e cioè, quegli eredi del vecchio PCI scomparso da vent’anni e la cui classe dirigente mai come oggi costituisce “una specie protetta” dentro l’attuale partito democratico. Sbaglieremmo, però, a liquidare in questo modo l’editoriale di Galli della Loggia perché faremmo verso la sua cultura e la sua autorevolezza lo stesso errore che lui fa verso il passato della prima repubblica e cioè un giudizio semplicistico ed approssimativo per assolvere noi stessi come lui ha assolto se stesso ed i protagonisti degli ultimi vent’anni. Non c’è dubbio che la cosiddetta prima repubblica abbia fatto errori ed omissioni come avviene in tutte le stagioni politiche sotto tutte le latitudini. È altrettanto vero, però, che il saldo finale di quella stagione fu nettamente positivo : a) per la difesa e la crescita della democrazia posta sotto attacco dal terrorismo brigatista; b) per la crescita e la diffusione del benessere della popolazione italiana. Conosciamo già la monotona “tiritera” di quanti ricordano il debito pubblico e il sistema pensionistico con il suo impianto retributivo dimenticando che: 1) il debito degli ultimi vent’anni è stato enormemente superiore a quello lasciato dalla prima repubblica (1200 mld di euro a fronte di 839 mld) prodotto nella metà del tempo (20 anni) e arrestando dal 1995 la crescita economica del paese; 2) che la riforma del sistema pensionistico era già stata messa in agenda dal 1991 (Ministro del lavoro Marini) e che non fu portata a termine grazie a Tangentopoli; 3) che gli anni ‘80 politicamente furono devastati dalla coda del terrorismo che uccise sino al 1988 (Senatore Ruffilli), dalla inflazione a 2 cifre agli inizi degli anni ’80 e dallo scontro sulla scala mobile nel biennio ‘85-‘86 vinto, poi, dal centro sinistra con la sua abolizione decisa l’11 dicembre del 1991 nell’ufficio del Ministro del bilancio con l’intesa della Confindustria e dei sindacati. Non ci sfugge che l’instabilità politica degli anni ’70 produsse molti di questi guai affrontati e risolti, però, proprio negli anni ’80 nei quali oltre tutto riemerse una stabilità governativa tipica degli anni ’50 e ’60 (Craxi 4 anni, Andreotti 3 anni). Il vero problema dell’Italia del primo dopoguerra in poi fu la “ibernazione”, se così è possibile esprimersi, del voto di larghe masse popolari incapsulate in un partito comunista la cui offerta politica veniva puntualmente respinta dalla maggioranza del paese. Fu proprio la mancata trasformazione del PCI in un partito socialista di stampo europeo a privare l’Italia di quella alternanza che fa sempre bene alla democrazia e che per la presenza comunista era inesistente sul piano nazionale mentre esisteva, eccome, sul piano degli enti locali. Una cosa, però, è rappresentare questa anomalia del passato politico legata alla presenza del più forte partito comunista dell’Occidente in Italia, altra cosa, ci consentirà il professor Galli della Loggia, far discendere da un passato lontano e per molti aspetti glorioso, i mali di oggi. Venti anni in politica sono un’era e se anche i protagonisti dei primi 40 anni di vita repubblicana fossero stati il Male assoluto, il presente con i suoi protagonisti ed i suoi opinionisti avrebbe potuto far trionfare il Bene piuttosto che far precipitare il paese nella povertà, nel discredito, nel personalismo più esasperato e nella diffusa mediocrità.
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